Per la prima volta, il mio compagno spettatore era un soggetto per il cui pene provo un interesse praticamente sconfinato, e per la prima volta avevo la certezza che no, la pornografia continuava a farmi lo stesso effetto che mi fanno le previsioni del tempo al Tg Regione, a prescindere da chi mi sieda accanto, almeno fino a quando chi mi siede accanto rimane vestito e tendenzialmente ridanciano. Forte dello scarsissimo coinvolgimento dichiarato anche dalla mia adorata controparte (“tette fintissime e troppo grosse, ragazze brutte, non è esattamente il mio genere” “ah-ah, quindi tu hai un genere” “amore, sono un maschio” “umph”), mi sono quindi accinta a visionare la pellicola con spirito critico, prendendo già piccoli appunti mentali per la modesta dissertazione che state giusto leggendo.
Ed è stato proprio a questo punto, checché ne dica il tizio dei Lùnapop, che la verità è emersa in tutta la sua incontrovertibile evidenza: gli uomini e le donne non sono uguali. Non quando si parla di film porno, perlomeno.
Il primo episodio ha seguito di pochissimo l’inizio del film: la mia disanima divertita degli improbabili stili d’abbigliamento dei protagonisti è stata liquidata sul nascere con un perentorio “Jules, è un porno, a nessuno interessano i vestiti”. Lo stesso tono, tra il condiscendente e lo spazientito, è stato adoperato per ribattere alla mia sincera mancanza di fiducia nell’efficacia di un’abbondante quantità di bava leggermente schiumosa come metodo di rappresentazione simbolica pre-eiaculazione dello sperma (pare che ai ragazzi piaccia). Quando ho provato a parlare della bruttezza oggettiva delle vagine rasate un po’ alla cazzo di cane, con la fondamentale introduzione della figura dello Zerbino Pubico, ho trovato ad accogliermi un silenzio assordante. Quando ho sottolineato che le tette della terza provinata, oltre ad essere grosse in maniera quasi comica, erano rifatte così male che quella sinistra era addirittura quadrata, non sono riuscita ad ottenere più che un mezzo grugnito di cortesia. Quando ho sghignazzato per la gonna di vinile tutta arrotolata a mo’ di ciambella intorno alla vita cicciotta della più verasce delle aspiranti pornodive, ho ricevuto in cambio una breve occhiata perplessa.
Quando ho buttato lì che probabilmente quello che stavamo vedendo era un film per cripto-gay, comunque (erano circa tre minuti che buona parte dello schermo era occupato dal buco del sedere e dallo scroto dello stantuffatore di turno), però, la reazione è stata fulminea: nel giro di un secondo scarso il ragazzo ha provveduto a spegnere il computer, reclinare il sedile su cui mi trovavo io, slacciarmi il reggiseno ed infilarmi la lingua in bocca. Che poi era precisamente il risultato a cui -furbetta- miravo io.
Magazine Talenti
Per la prima volta, il mio compagno spettatore era un soggetto per il cui pene provo un interesse praticamente sconfinato, e per la prima volta avevo la certezza che no, la pornografia continuava a farmi lo stesso effetto che mi fanno le previsioni del tempo al Tg Regione, a prescindere da chi mi sieda accanto, almeno fino a quando chi mi siede accanto rimane vestito e tendenzialmente ridanciano. Forte dello scarsissimo coinvolgimento dichiarato anche dalla mia adorata controparte (“tette fintissime e troppo grosse, ragazze brutte, non è esattamente il mio genere” “ah-ah, quindi tu hai un genere” “amore, sono un maschio” “umph”), mi sono quindi accinta a visionare la pellicola con spirito critico, prendendo già piccoli appunti mentali per la modesta dissertazione che state giusto leggendo.
Ed è stato proprio a questo punto, checché ne dica il tizio dei Lùnapop, che la verità è emersa in tutta la sua incontrovertibile evidenza: gli uomini e le donne non sono uguali. Non quando si parla di film porno, perlomeno.
Il primo episodio ha seguito di pochissimo l’inizio del film: la mia disanima divertita degli improbabili stili d’abbigliamento dei protagonisti è stata liquidata sul nascere con un perentorio “Jules, è un porno, a nessuno interessano i vestiti”. Lo stesso tono, tra il condiscendente e lo spazientito, è stato adoperato per ribattere alla mia sincera mancanza di fiducia nell’efficacia di un’abbondante quantità di bava leggermente schiumosa come metodo di rappresentazione simbolica pre-eiaculazione dello sperma (pare che ai ragazzi piaccia). Quando ho provato a parlare della bruttezza oggettiva delle vagine rasate un po’ alla cazzo di cane, con la fondamentale introduzione della figura dello Zerbino Pubico, ho trovato ad accogliermi un silenzio assordante. Quando ho sottolineato che le tette della terza provinata, oltre ad essere grosse in maniera quasi comica, erano rifatte così male che quella sinistra era addirittura quadrata, non sono riuscita ad ottenere più che un mezzo grugnito di cortesia. Quando ho sghignazzato per la gonna di vinile tutta arrotolata a mo’ di ciambella intorno alla vita cicciotta della più verasce delle aspiranti pornodive, ho ricevuto in cambio una breve occhiata perplessa.
Quando ho buttato lì che probabilmente quello che stavamo vedendo era un film per cripto-gay, comunque (erano circa tre minuti che buona parte dello schermo era occupato dal buco del sedere e dallo scroto dello stantuffatore di turno), però, la reazione è stata fulminea: nel giro di un secondo scarso il ragazzo ha provveduto a spegnere il computer, reclinare il sedile su cui mi trovavo io, slacciarmi il reggiseno ed infilarmi la lingua in bocca. Che poi era precisamente il risultato a cui -furbetta- miravo io.
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