Il giorno dopo passa in un lampo, e non solo perché mi sveglio relativamente tardi, ma anche perché, in visione dell’arrivo di Vega G, la nonna mi assegna mille commissioni, gran parte delle quali da fare fuori casa. Quando rientro, nel pomeriggio, la trovo nel salone, intenta a sistemare un vaso di iris blu sul tavolo.“Hai ricaricato tutte le batterie?” domanda non appena mi vede.“Tutte,”dico appoggiando il pesante zaino su una sedia. “Fino all’ultima. E’ per questo che ho impiegato un’ora al distributore,” aggiungo con sarcasmo. Una volta c’era l’energia elettrica, oggi ci sono le batterie ad energia solare. Le usiamo per tutto, dalla casa alla biposto, dall’illuminazione del paese a quella negli ospedali. “Bene,” dice distrattamente, guardandosi attorno. “Qui mi sembra che sia tutto in ordine.” Ogni angolo della casa risplende, grazie al lavoro che abbiamo fatto insieme prima che andassi al distributore. Non che la nostra casa fosse sporca o disordinata, ma la nonna ha voluto pulire a fondo, visto che la Presidentessa sta per arrivare. Ogni superficie brilla, ogni cuscino è gonfio fin quasi a scoppiare, e i fiori del suo giardino profumano l’ambiente più di quanto potrebbemai fare il migliore deodorante chimico. “E’ tutto perfetto,” dico, toccando le nuove tende lilla. Le ha create lei questa mattina col suo cilindro. “Nonna,” continuo, “credi davvero che la Presidentessa reagirà bene quando le dirò che intendo rifiutare la sua proposta?” “Certo, Lilac,” dice, coprendo la mia mano con la sua. “E’ stata proprio lei a dirti che non sei obbligata ad accettare. Cerca di rimanere tranquilla. Vega G. capirà che Baguette ha bisogno di te.”
Quando sono rientrata in casa, questa notte, ho fatto più rumore del previsto. La nonna si è svegliata e mi ha chiesto perché fossi uscita di casa, e dove fossi andata. Ho evitato di raccontarle che sono stata a casa della Vecchia, ma non le ho nascosto la mia conversazione con Baguette. Anche se avessi voluto, non avrei potuto farlo: ero troppo scossa dopo averla vista piangere in quel modo, e la nonna ha capito subito che c’era qualcosa di strano in me. Alla fine del mio resoconto, quando le ho detto che non avrei potuto lasciare Baguette in un momento così difficile, la nonna mi ha abbracciata e ha detto: “Sei un’ottima amica, bambina. Sono orgogliosa di te.” E quando le ho parlato dei miei dubbi in merito alla proposta di Vega G, ha aggiunto: “La Presidentessa capirà, ne sono certa.”
L’offerta di girare il mondo con la donna a capo dell’USP è arrivata all’improvviso, e in un altro momento avrei accettato senza problemi, ma ora non posso lasciare Baguette. Quando Vega G arriverà le spiegherò che, soprattutto alla luce dell’incidente con l’iPod, sento la necessità di rimanere accanto alla mia amica. “Parlando di Baguette,” continua, “prima sono andata a farle visita.” Siede sulla sua poltrona preferita, indicando quella accanto per farmi sedere con lei. “Quando?” chiedo preoccupata. “E’ forse successo qualcosa?” “No, tranquilla Ma dopo quello che è successo ieri, e dopo ciò che mi hai raccontato stanotte, ho pensato che fosse necessario far capire a Baguette che non è poi così sola come pensa. Sono rimasta con lei per un po’, mentre tu eri al distributore. Abbiamo chiacchierato.”
“Di cosa?” domando.
“Di tutto e di niente,” dice scrollando le spalle. “Quando sono arrivata stava cucendo una nuova camicia per sé, e mi ha mostrato come si fa. Ha molto talento, Le ho fatto i complimenti.”
Vorrei dirle che Baguette ha numerosi talenti, ma per farlo dovrei parlarle del museo della Vecchia, e non credo che sia il caso.
“Sono preoccupata per lei,” mormoro. “Non voglio che abbia quei pensieri cupi, voglio che torni a sorridere e ad essere ottimista verso il futuro.”
“Lo farà,” dice la nonna. “Non temere. Capita a tutte di ritrovarsi un po’ smarrite, Lilac, soprattutto alla vostra età. Ma Baguette è forte e, soprattutto, ha te. Insieme, voi due, formate una squadra imbattibile. Non dimenticarlo mai.”
Le sue parole mi rincuorano. “Grazie, nonna.” La sua risposta è un sorriso gentile. Si allunga verso di me per avviarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Che ne dici di andare a fare una passeggiata?” Guardo l’orologio. “Una passeggiata? Ora? Dovremmo prepararci per l’arrivo di Vega G, nonna. Io devo ancora creare il mio abito.”
“C’è tempo,” dice con un gesto della mano. “Abbiamo lavorato tutto il giorno. Ci meritiamo una pausa.” Le rughe attorno agli occhi verdi si allungano quando inclina il capo. “Il tempo passa così in fretta, bambina. Ieri iniziavi a camminare, proprio qui, in questa stanza. E oggi sei una donna pronta a lasciare la tua traccia nel mondo.” Mi accarezza i capelli, fermando la mano sulla guancia,
usando il pollice per accarezzarne lo zigomo. “Andiamo,” dice. “Ho voglia di uscire.” “Pensavo dovessimo andare a piedi,” dico quando, una volta fuori casa, vedo la nonna salire sulla sua biposto. Lei scuote il capo. “Il posto in cui voglio andare è lontano da qui. Ci servirà l’auto. Ehi,” aggiunge, infilando la mano nella tasca dei pantaloni. “Ne vuoi una?” Mi mostra due cubetti avvolti nella pellicola colorata.
“Caramelle? Grazie!”
“Quella è al latte,” dice indicando il cubetto avvolto dalla pellicola bianca. “Il tuo gusto preferito.”
Mastico la caramella mentre la nonna mette in moto. Ne assaporo il gusto dolce, anche se artificiale. Dopo qualche centinaio di metri, la nonna lascia una mano sul volante e con l’altra prende la mia. Ne bacia il dorso e l’attira al petto.
“Allora, dove stiamo andando?”
“Alle cascate,” dice dopo aver svoltato ad un incrocio.
“Le cascate di Malorai?”
“Proprio quelle, bambina,” risponde sorridendo.
“Fantastico! Ma faremo in tempo? La Presidentessa arriverà-”
“Tutto andrà bene, Lilac. Non agitarti,” dice stringendo la mia mano. “Rilassati.”
Non vado alle cascate da anni, soprattutto con la nonna. Si tratta di cascate costruite dall’USP quando l’Italia è stata ufficialmente chiusa. Sono circondate da un bosco fitto e ricco di vegetazione, anch’essa artificiale. E’ uno dei posti più belli che io abbia mai visto. Quando ero bambina, ci andavo spesso in estate, con la nonna, Baguette e Juliette, per trascorrere la giornata sulla riva, fra
i massi giganti e i cespugli finti, e per trovare sollievo nelle giornate più calde. Da quando Juliette è morta, però, le gite alle cascate sono diventate rare, soprattutto per Baguette. Non le piace andare lì senza sua madre, e le poche volte che io e la nonna l’abbiamo convinta ad unirsi a noi ha passato tutto il tempo a lanciare sassolini nell’acqua senza rivolgerci la parola. Molti dei ricordi più belli della mia infanzia sono legati alle cascate. Abbiamo festeggiato lì i miei compleanni, nel mese di Luglio. Quando ho compiuto sei anni ho provato lì la mia prima fetta di torta al cioccolato, preparata dalla nonna dopo essersi fatta recapitare gli ingredienti da
Parigi e averla preparata nel forno acquistato per l’occasione. L’anno successivo, ad Aprile, Juliette ha preparato la stessa torta per Baguette, e l’abbiamo mangiata tutte insieme, sedute sulla riva del fiume. Ne ricordo ancora il sapore, nonostante siano passati più di dieci anni. Conserviamo molte foto dei giorni alle cascate, e anche se Baguette è diventata allergica a quel luogo so che esso rappresenta anche per lei una fonte di bei ricordi. Nei prossimi giorni dovremo tornarci. Manchiamo dalle cascate da troppo tempo.
“Tutto bene?” chiedo alla nonna, dopo cinque minuti di silenzio. Abbiamo lasciato la zona residenziale di Malorai, e il sole che si avvia al tramonto è alla nostra destra. Lei annuisce. “Sì, bambina. Tutto bene.” Le sue labbra sorridono. I suoi occhi,però,rimangono sulla strada, concentrati. Il manto stradale liscio lascia ben presto spazio al viottolo che porta al boschetto, ed è quando la biposto rallenta fino a fermarsi fra i cespugli che mi rendo conto del cambiamento nella nonna. Il suo viso è teso, e le rughe sono ancora più visibili, marcate.
“Che succede, nonna? Mi sembri preoccupata.”
Lei spegne l’auto e si gira a guardarmi. “Non c’è un modo diverso per dire ciò che sto per dirti.”
“Cosa devi dirmi?” domando, cercando i suoi occhi e trovandoli lontani, distaccati.
“Lilac, non puoi più vivere a Malorai. Non puoi più vivere con me.”
“Che cosa?” Le sorrido, ma il suo volto rimane impassibile. Mi prende per mano, inspirando ed espirando prima di parlare.
“Stai per compiere diciotto anni, Lilac, e lei lo sa.” La sua voce trema. “Lei lo sa, bambina, e io non posso più proteggerti.” Balbetta, una cosa che non ha mai fatto. E’ agitata, e i suoi occhi sono lucidi.
“Nonna, cosa stai dicendo? Da cosa non puoi proteggermi?”
“Non da cosa, Lilac. Da chi. Io non posso più proteggerti,” ripete, “e tu non puoi più vivere qui. Devi andartene.”
Il suo tono di voce mi spaventa. L’urgenza delle sue parole mi confonde. “Nonna, perché-”
“Nello zaino c’è tutto,” dice pulendo gli occhi umidi con le dita. “Il resto arriverà quando-”
“Nello zaino?” Mi giro verso la parte posteriore della biposto e mi accorgo che nel retro c’è un grande zaino blu. “Nonna, non capisco. Pensavo che volessi passeggiare alle cascate, ma…Spiegami cosa sta succedendo, ti prego. Da chi devi proteggermi? Cosa stai dicendo?”
“Loro ti spiegheranno tutto,” dice in fretta. Apre lo sportello e scende. La imito, facendo il giro dell’auto e bloccandola con la mani sulle spalle.
“Chi? Chi mi spiegherà tutto?”
“I tuoi genitori,” dice, a voce talmente bassa che per un attimo credo di aver immaginato tutto. “I tuoi genitori. Loro ti racconteranno tutto.” “I miei… Nonna, sei impazzita? Cosa sign-”
“Tu hai una madre, Lilac. E un padre. Ed è lì che devi andare, da loro.” Scioglie la mia presa e guarda l’orologio. “Manca poco,” mormora. Fatico a capire le sue parole. Le ascolto, le elaboro, ma non le capisco. Una madre? Mia madre è morta quando sono nata. Un padre? E’ impossibile, gli uomini non esistono più. “Nonna.” Alzo gli occhi ma lei non è più di fronte a me. E’ accanto alla biposto, sta aprendo il vano posteriore.
“Pillole, medicine, i tuoi vestiti, le tue cose: c’è tutto,” dice mentre prende lo zaino. Mi guarda negli occhi e aggiunge: “Il resto arriverà dopo.” Ed è in quel momento che sento un rumore provenire dagli alberi alla nostra destra. La nonna mi afferra per spingermi dietro di sé, ma la stretta si allenta quando due figure emergono dagli alberi. Porto la mano sulla bocca per sopprimere un grido quando le vedo avvicinarsi, e le riconosco. Non si tratta di due persone qualunque. Sono due uomini.
“Nonna, chi sono quei due? Che cosa sta succedendo?” Non è solo la mia voce a tremare, ma anche il mio corpo.“Loro ti porteranno dai tuoi genitori,” dice, per nulla sorpresa nel vedere due uomini, vivi, a pochi metri da noi.
“Com’è possibile?” le chiedo. “Gli uomini non esistono più. Non è possibile. Chi sono quei due?” La nonna mi lascia e si incammina verso di loro. Quando li raggiunge inizia a parlare, ma non riesco a sentire ciò che dice. Il più anziano ha la pelle scura. E’ alto come la nonna, e probabilmente ha la sua stessa età. Indossa un giaccone verde su un paio di pantaloni color cachi. L’altro uomo, che rimane indietro, è più giovane. Potrebbe avere la mia età. E’ alto, e robusto rispetto all’anziano. Non ha la barba, e i suoi capelli sono completamente rasati. Il suo giaccone è blu scuro, come i pantaloni.
“Qui c’è tutto,” riesco a sentire ad un tratto. E’ la nonna a parlare. “Anche i semi,” aggiunge.
Si gira verso di me. “Vieni, Lilac. Devi andare.”
“Dove? No! No, nonna, no! Chi sono queste persone?” grido. “Perché sono qui? Che cosa significa tutto questo?”
La nonna mi attira a sé per abbracciarmi, mentre l’uomo di colore mette lo zaino sulle spalle. La testa inizia a girarmi quando sento la voce della nonna. “Avrei dovuto fare di più, bambina,” dice la nonna fra le lacrime. “Credevo di aver fatto la cosa giusta, credevo che sarei riuscita a fare le cose perbene, questa volta. Tua madre e tuo padre sapranno proteggerti. Credevo di aver fatto la cosa giusta,” ripete, “ma lei sa, e io non posso rischiare di-” “Nonna, chi sa? Di chi parli.” Piango anch’io, mentre la testa continua a girare. “Chi sono questi uomini, nonna? Dove mi porteranno? Spiegami, nonna. Cosa… cosa…” Sbatto le palpebre per mettere a fuoco il suo viso, ma la vista è all’improvviso appannata. “Il sonnifero sta facendo effetto,” dice lei ai due uomini. Vedo quello di colore muovere le labbra, ma non sento ciò che dice. L’altro, quello giovane, si muove verso di me nel momento in cui mi aggrappo con tutta me stessa alla nonna. “Nonna, dove mi porteranno?” dico con un filo di voce. Le palpebre sono pesanti, non riesco a vedere chiaramente. “Chi sono? Perché?” Sento le sue labbra calde sulla fronte, prima di chiudere gli occhi. Sento la sua voce dirmi: “Perdonami, bambina. Ti voglio bene”, prima di perdere i sensi.
Di Alessia Esse. Tratto da “Lilac”
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