Posso dire che non mi piace la ragazza in copertina? Ormai l’ho scritto.
Non si capisce se è imbronciata, incazzata, sospettosa o pericolosa. Forse tutti questi aggettivi insieme, e proprio per questo polpettone di aggettivi, mi dava fastidio prendere in mano il libro. Emana energia negativa.
Eppure la storia mi è piaciuta, perché mi piace come scrive la Mazzucco, anche se stavolta un appunto devo farlo: homework, live e rewind sono tre voci diverse. Il live in terza persona segue i punti di vista dei vari personaggi; l’homework è la voce di Manuela, la soldatessa, che racconta quello che le è successo in A-Stan; rewind è la voce del presunto Mattia che spiega un po’ (poco) di sé alla fine. Queste tre voci dovevano essere diversificate, invece si sentiva lo stile da scrittrice navigata. Ma Manuela è stata una teppista finché non ha iniziato a darsi da fare per l’esercito e Mattia è un medico specialista in oculistica (o oftalmologia, non chiedetemi la differenza): non ho notato alcuna differenza tra le voci.
Solo una voce unica. Bella, per carità, piena di belle immagini e metafore, ma mancavano altre due esperienze di vita…
Per chi l’ha letto: secondo voi, la figura al balcone dell’albergo dell’ultima pagine, è Mattia?
Perché ho questo bisogno di sapere cosa pensava la Mazzucco mentre l’ha scritto? Nella sua testa, era lui o no?