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Col titolo alludo al blog di Lerner che, visto il film, invocava: “Nessuno adesso parli di Scilipoti”. Invece io impavidamente ne parlo. L’azione del film di Spielberg, di un film magari troppo lento, ma dalla storia avvincente e con momenti intensi, si concentra nei mesi in cui Lincoln ( premio Oscar a Day Lewis per l’interpretazione), è impegnato nella battaglia della sua vita: l’abolizione definitiva della schiavitù mediante un tredicesimo emendamento alla Costituzione. Occorrerebbero i 2/3 del Parlamento per iscrivere nella Costituzione il principio che sta a cuore al Presidente. E, con tutta evidenza, i 2/3 non ci sono. Il partito democratico è avverso al Presidente. Il partito di Lincoln, il partito repubblicano, è diviso fra istanze moderate e radicali. Queste ultime sono rappresentate da un leader, Thaddeus Stevens ( Tommy Lee Jones), convinto assertore dell’eguaglianza di tutti gli uomini e di tutte le razze. Lincoln, lucidissimo, è disposto a pagare ogni prezzo. Sono due i prezzi da pagare per conquistare la maggioranza. Il primo è quello di remunerare con cariche appetibili parte dell’opposizione. Il secondo è rinunciare ad affermazioni di principio che allontanerebbero i più moderati fra gli avversari della schiavitù. Lincoln si muove su entrambi i piani. E al contempo ritarda la conclusione del conflitto. La fine della guerra metterebbe in ombra il problema. Quindi – si suggerisce – è moralmente legittimo provocare nuovo spargimento di sangue, se questo serve a far prevalere giusti principi. E’ altresì legittimo comprare gli Scilipoti o i De Gregorio di allora. E’ legittimo se il fine ultimo è che l’illegittimità dello schiavismo sia sancita nella Costituzione americana. Immagino – voglio dire – che il Lincoln di Spielberg non avrebbe considerato eticamente accettabile la compravendita a di parlamentari , a fini di personali. Quel Lincoln è un pedagogo in cui convivono idealismo e pragmatismo: "Una bussola ti indica il nord dal punto in cui ti trovi, ma non può avvertirti delle paludi, dei deserti e degli abissi che incontrerai lungo il cammino. Se nel perseguire la tua destinazione ti spingi oltre non curante degli ostacoli e affondi in una palude, a che serve sapere il nord..." E’ l’argomento che convincerà Thaddeus Stevens, l’egualitario “estremista”. Il finale, la battaglia e il voto in Parlamento, è avvincente come un thriller. La destra provoca il leader radicale perché manifesti il suo compiuto pensiero, spaccando il fronte antischiavista. La provocazione non vince e il radicalismo trova dignità e prospettiva in un alveo “moderato”. Lincoln pagherà con la vita la vittoria. Due riflessioni a commento finale. La prima l’ho già espressa e la ribadisco: Lerner ha torto. Ha ragione il nostro Macchiavelli: il fine giustifica i mezzi. Che non significa: qualsiasi fine giustifica qualsiasi mezzo. Ovvero: citare Scilipoti è assolutamente corretto. Solo che Lincoln non compra i suoi Scilipoti per fare baldoria a spese del Paese. Il secondo pensiero è: i radicali hanno ragione più spesso dei “moderati”. Se però non sanno aspettare, il meglio diventa avversario del bene e il peggio trionfa.
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