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In una scuola normale di una società normale in uno Stato normale, se dei genitori dovessero chiedere per i loro figli l'insegnamento della e nella lingua di minoranza tutelata dalla legge dello Stato; se questo avvenisse in una terra, la Sardegna per esempio, che a sua volta rafforza questa tutela con una sua legge specifica, quella scuola normale di una … etc etc... che farebbe? Chiederebbe ai propri insegnanti se siano in grado di insegnare il sardo e in sardo (o il e in gallurese, sassarese, catalano, tabarchino). E, se capitasse che propri insegnanti non ne siano capaci, si darebbe da fare per trovarne altri in grado di farlo. Se non ci sono insegnanti in grado di insegnare il e in italiano, li assumerebbe. E se, pur titolati a farlo, dicessero di non essere disponibili disponibili, immagino che li caccerebbe. Una cosa talmente scontata che neppure varrebbe la pena di parlarme, E invece, leggete un po' che razza di domanda si pone ai genitori sardi: “«Se il Consiglio di istituto e il Collegio dei docenti lo stabilissero nel Pof, se la scuola avesse le competenze professionali adeguate e la loro disponibilità a operare, richiederebbe per il proprio figlio lo studio del sardo?» Malgrado ciò, pur con tutte queste condizioni abbacinanti, con tutto che la domanda è posta solo pochi giorni prima che scada la data dell'iscrizione di scolari e studenti, l'iniziativa di Enrico Tocco, dirigente della direzione scolastica regionale è ammirevole. Se non altro perché è il segnale che qualcosa si muove e che anni di battaglie per il sardo a scuola cominciano a fare breccia persino nella amministrazione scolastica. Dico “nella amministrazione” e non semplicemente nella scuola, visto che centinaia di insegnanti da anni si sono assunto compiti non propri. Tutto bene, dunque? Sì, se consigli di istituto, collegi dei docenti e insegnanti, come è pur possibile che sia, avessero quel tanto di amore per la lingua sarda necessario a far incontrare la domanda dei genitori con l'offerta della scuola italiana in Sardegna. Ma cosa succederebbe (succederà) se alla domanda di genitori si rispondesse “il consiglio di istituto e i collegi dei docenti non intendono introdurre la lingua sarda (catalana, tabarchina, gallurese, sassarese) nella nostra scuola” o anche “scusate, ma nessuno qui è in grado si insegnare la o nella lingua minoritaria” o ancora “collegio e consiglio sono d'accordo, ma io non sono disponibile a farlo”? Giai semus a frore, la lingua sarda è proprio ben messa se siamo indotti a gioire di questa iniziativa del dirigente scolastico della Sardegna.
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