Ci accaniamo a ricordare, a fotografare, filmare, scrivere, dipingere, suonare, nel disperato tentativo di lasciare qualche segno del nostro passaggio, ciechi davanti all'ineluttabilità della nostra insignificanza, sordi allo scalpitio, sempre più vicino, di chi verrà dopo di noi, ad abitare le nostre case, a fare i nostri lavori, a prendere quel posto tra le fila del mondo che ora sembra appartenerci.E la memoria, questa bifida presenza, dolorosamente confortevole, che riesce a sostanziarsi indistintamente in oggetti privi di alcun valore come in un paio di occhi color del mare in tempesta che, una volta conosciuti, ti porterai nel taschino fino all'ultimo respiro; la memoria che s'infila nelle trame della vita, completamente noncurante di qualunque nozione di spazio e tempo, legandosi irrimediabile a qualche sinapsi che si risveglierà ogni volta con l'accenno di una nota di bergamotto, la stessa di tua madre, ogni volta come se fosse la prima.
Mi domando che senso abbia, che senso abbiamo.Non me lo chiedo mai, faccio scudo con l'angnosticismo e lascio aperta la porta per la verità, qualora decidesse di arrivare.Il senso è nel non senso, nell'accanimento al respiro, all'amore, il senso è alzarsi la mattina, con tutti gli arti al proprio posto, sorridere al sole, a chi si ama, e fanculo i soldi, le macchine, i mutui, i tassi variabili, il vestito buono, la diplomazia, l'ipocrisia, l'economia che gira mentre il mondo si ferma, fanculo i paraculi, i duri di cuore, gli ingiusti e tutti gli indifferenti di questo mondo.
Pulsa questo muscolo al centro del petto, ha pulsato miliardi di volte, nonostante la morte a volte sia passata vicina a prendersi qualcuno che amavo, nonostante la terra abbia continuato indifferente il suo girotondo sbilenco, batte in gola, in testa, nelle vene, come se fosse inarrestabile.Poi di botto si ferma, la linfa smette di scorrere, con lei la vita, e ti chiedi che senso abbia; riguardo quei vecchi filmini sbiaditi, dove improvvisamente tutto torna a vivere, esattamente come 16 anni fa, come se nulla fosse successo, e mi ritrovo con questo pugno di ricordi che si sgretolano come sabbia un tempo umida, incapaci di reggere il confronto con la tridimensionalità di quegli occhi puntati in camera, blu come due buchi di cielo, ricordi pallidi e artefatti di fronte al colorito vociare, alle risate, ai gesti maldestri di un gruppo di neoadolescenti, la cui unica fine possibile è dissolversi davanti alla bellezza, folgorante e irriproducibile, di quelle che eravamo.
Ci avevo messo anni, avevo costruito una baracca fatiscente fatta di memorie e fango, incasellate, sporcate, modificate in modo da consentirmi di ricordare in maniera parziale e il meno dolorosa possibile. Sapevo che sarebbe arrivato questo momento, anche se è una frase fatta; quei filmini sono in giro da 13 anni, una copia mi è stata offerta diverse volte, anche da sua madre, ma io prima d'ora li avevo sempre evitati con cura, incapace anche solo di pensare di poterla rivedere in vita. Alla fine, complice una conversazione innocente tra mio fratello e il padre di una mia amica, me li sono ritrovata davanti al mio ritorno da Firenze, incandescenti come tocchi di cuore e lava.
Sono stata tentata di rimandare una volta ancora ma poi mi sono resa conto che il momento era giunto.Così, sola col mio pigiama e una scorta di sigarette, nel ventre di una qualunque notte di Gennaio, ho ingoiato la paura e ho premuto "play".
Non avevo realizzato quanto quel dolore fosse ormai connaturato al mio essere, avviluppato ad ogni fibra, quasi parte del mio imprinting, della mia educazione alla vita e alla morte. E la cosa più orribile non è stata vederla muoversi, parlare, ridere, ma il Gran Canyon rimasto dopo, una volta spente le luci, consapevole che quel che resta di lei, del suo passaggio su questo mondo, si limita a ciò che il grandangolo della telecamera ha ripreso. Una spanna di pellicole, la sua vita misurata in millimetri, tutto quello che di lei non si vede e del quale mi sento quasi derubata, come se quei filmini avessero potuto, da soli, farsi clone di ciò che è stata, nella complessità di ogni sua sfmatura.
Forse c'è qualcosa che non va in me, in questo dolore che mi è, inspiegabilmente, così caro; forse il dolore, a volte, è la misura delle cose, un ponte che ti tiene legato alla vita e alla morte; forse il dolore, come l'amore, ha in sè la catarsi, il divenire, l'origine e la fine.
Il dolore, l'amore, le cose belle e quelle brutte, nascere e morire, a volte senza aver avuto il tempo di vivere nel mezzo; tutto ha un senso, che si dispiega ogni giorno, anche davanti alla cecità che ci affligge, e non ha a che vedere con il divino e i suoi ipotetici piani superiori, ma con noi, con quello che siamo adesso, con quello che possiamo fare, anche inconsapevolmente, per dare il nostro contributo al mondo, all'umanità, con ciò che, malauguratamente, possiamo far rinascere dalla morte di qualcuno. La volontà di perseguire il bene, la giustizia, l'universalità, l'amore, questo è ciò che fa la differenza, anche quando si sostanzia in una persona cui non sono concessi che 15 anni su questa terra. Non ha nemmeno avuto il tempo di rendersi conto di ciò che avrebbe potuto fare nella vita. Ma T. era una persona che si alzava di fronte alle ingiustizie, che rideva col sole in faccia, che amava con una genuinità disarmante e questo, anche nel mosaico di sette miliardi di anime di cui consta il mondo, ha un suo peso specifico che nessuno, neppure chi non l'ha mai conosciuta, può negare. E così tutti i quindicenni, i trentaquattrenni, i novantaseienni, tutti i morti che non ho conosciuto, sono stati vento e seme in questo mondo, tanto anonimi e sconosciuti, quanto unici e insostituibili.A loro va il mio amore, che 'seminato al vento, farà fiorire il cielo'.