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“Little love god”. La suggestione prima del racconto

Creato il 14 dicembre 2012 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

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Nina improvvisamente scompare. Nikola, il marito, medico macedone nel Montenegro, non ha idea del perché. Non sa se è scappata o se è stata rapita. Mistero e tensione riempiono così le relazioni con il mondo che lo circonda, soprattutto con i familiari di lei. Inoltre la banca dove tiene i suoi soldi dichiara bancarotta e la polizia gli confisca senza giustificazioni il passaporto. Ma la situazione sembra destinata a (non) risolversi…

Presentato alla prima edizione del Balkan Florence Express, neonata rassegna di cinema dei Balcani occidentali in Toscana ad opera di Oxfam Italia e Festival dei Popoli, Little Love God (Mali Ljubavni Bog) di Zeljko Sosic è un’opera che coinvolge e lascia sconcertati, che stupisce e abbandona, con dietro alla macchina da presa una folta molteplicità di idee e un sentito piglio autoriale.

Più che raccontare e (di)spiegare vicende, Sosic crea sensazioni, suggestioni, atmosfere impalpabili e ansiogene, invisibili ma ben presenti. Con un certo fare kafkiano e un senso dell’attesa e dell’indecifrabile che riecheggia un certo cinema di Antonioni, Little Love God, pur nel suo non aprirsi alla totale (ma neppur parziale!) lucida comprensione, intriga e si fa amare. E non è azzardato vedere e percepire queste sensazioni in relazione ad una zona europea che, confusa e straniata, dimostra di non aver ancora ben razionalizzato e metabolizzato il dissolvimento dell’Ex Jugoslavia.

Lunghi piani sequenza (impreziositi dalla magnifica fotografia di Dimitar Popov) seguono i protagonisti della vicenda in un’aura da incubo dal quale è dura svegliarsi. Un sogno tremendo con ambienti urbani dove la pioggia è la normalità e spazi attraversati da personaggi che compiono più volte, senza stacchi di montaggio, uno stesso gesto (vedi Nina e Nikola che per tre volte scendono la stessa rampa di scale).

Perno fondamentale di questa fuliggine che cosparge tutto l’intreccio, è la partitura musicale al piano di Vladimir Djurisic che, con toni lirici e stonati alla Schonberg, crea emozioni terrificanti e cullanti.

Alienata e alienante, ma allo stesso tempo sentita e drammatica, la recitazione di tutto il cast (in particolare dell’attore protagonista Nikola Ristanovski). Poetico, stemperante, quasi pacificatorio il finale.

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