Bologna, MAMbo.
Penultimo giorno di Live Arts Week: oggi ci tengo anche a nominare gli artisti curatori della parte grafica del festival. Oltre al già più volte citato Canedicoda, che ha costruito appositamente per il Live Arts Week delle originali sedie e panche, da domani in vendita all’asta, trovo importante spendere due parole su Invernomuto, il progetto di Simone Trabucchi e Simone Bertuzzi. Il primo, più conosciuto con il moniker Dracula Lewis, è produttore discografico con la sua folle etichetta Hundebiss Records, che vanta uscite di Aaron Dilloway e Hair Police, solo per citare i miei preferiti. Il secondo utilizza il nome Palm Wine per curare un blog di musica ubriaca e per far saltare in pista la gente con dj set post-etnici, da festini tropicali, e non. I due artisti milanesi hanno sempre curato la parte visiva del Live Arts Week e quest’anno hanno dato il meglio, fondendo psichedelia, umidità, natura e colori sintetici.
Uno swap nel running order fa sì che al nostro ingresso ci aspetti la performance “iFeel2” di Marco Berrettini, un allievo di Pina Bausch che parte dalla massima di Nietzsche: “bisogna danzare la vita”. Oggi il MAMbo sembra sospeso nel vuoto, in un eden rappresentato dal setting dell’evento di Berrettini. Viene ricostruito un giardino, con erba per terra e alberi sospesi. Al centro due personaggi, uomo e donna, danzano a tempo di musica, sempre con gli stessi passi minimali, variando solo alcuni dettagli. È di rara bellezza la poesia creata dal muoversi dei corpi in questo luogo fuori dal tempo: rende magnetico lo spazio e lo spettatore si vede come parte di questo giardino segreto. Anche noi stiamo ballando con queste persone, pur restando fermi, perché dopo un po’ cominciamo a conoscerne i passi. “iFeel2” mi riporta al concetto di relazione ben espresso dagli orologi di Gonzalez-Torres, il quale parlava del rapporto fra due persone in termini di sincronia: per quanto ci si possa sforzare, questa non sarà mai perfetta, come quella di due lancette di due orologi che finiscono per rincorrersi l’una con l’altra nonostante siano state avviate in contemporanea. Qui il messaggio è trasmesso tramite la danza, già di per sé simbolo di relazioni. In questo caso, vista la semplicità e ripetitività dei passi, si ricerca un’armonia che, proprio grazie alla non totale perfezione, viene trovata.
Oggi il tema dei video di Giovanni Donadini è il ballo e, mentre Aki Onda prepara l’ultimo dei suoi “Cassette Spectacle”, ci si può accomodare sulle sedute e godersi le assurdità del mondo. Negli scorsi giorni mi sono tenuto abbastanza neutro sulla sua serie di performance, nella speranza che ci fosse qualcosa di stupefacente alla fine: purtroppo quest’ultima tappa ha reso chiaro il fatto che Aki Onda non ha poi così tanto da dire. Questa volta la location è la sala principale del MAMbo. L’inizio è un tributo ai live del giorno prima di MSHR e Daniel Löwenbrück/Doreen Kutzke: il musicista giapponese utilizza le trombette dei primi e il campanaccio dei secondi per cominciare quello che sembra essere un rituale collettivo. Utilizzando una lampadina, qualche ampli, le tape e poco altro, Onda ci lascia un’ora scarsa all’interno delle sue improvvisazioni, che ormai non sembrano avere più un filo conduttore né una struttura ben chiara, neppure a lui. Gira con un ampli accostandolo alla testa di qualche spettatore, amplifica ulteriormente il suono tramite microfoni fatti ondeggiare sulle casse, prende a sberle la lampadina fino a fulminarla (volontariamente?)… insomma, un insieme di azioni giustapposte, che sembra più una stranezza fatta per essere tale che una vera espressione di improvvisazione sonora e performativa. Viene calcata, fin troppo, l’idea orientale che si ha della musica sperimentale. Inoltre, la durata di un’ora non è giustificabile, e di sicuro tre giorni a lui dedicati sono troppi.
Sentendo il nome Porter Ricks, molte antenne si drizzano. Capofila nella sperimentazione in ambito clubbing, il duo tedesco – con Biokinetics – fu tra i primi progetti a essere prodotto dalla storica Chain Reaction e a dare il via a quei suoni alternativi alla cassa dritta nel dancefloor. La situazione, all’interno di un museo, non esplode nel ballo, tema generale di oggi, dato che il pubblico preferisce stare seduto e sono in pochi quelli che si concedono alla musa dell’elettronica. Del resto quello che esce dalle casse all’inizio non stimola davvero il movimento, ma questa parte – la migliore del set – è una presentazione dell’evoluzione del duo. Per fortuna, infatti, Köner e Mellwig non montano i paesaggi sonori di Biokinetics (senza quindi correre il rischio di emulazione), eppure ne tengono ampia considerazione. Le strade organiche percorse dallo storico album qui marciscono: il suono viene arrugginito, come se i due dj fossero usciti dall’acqua di Biokinetics e, dopo essere rimasti in pausa per anni, ci facessero ascoltare il ferro, ormai decomposto, che resta. Il risultato è ciclopico, l’aria acquista una densità molto più elevata e in qualche modo i Porter Ricks, tramite vibrazioni e volumi, riescono a farci sentire il fluido all’interno del quale viviamo ogni giorno, si percepiscono lo spostamento dell’ossigeno e la pesantezza dell’atmosfera.
A fine serata scopro che oggi è l’ultimo giorno per entrare nella Waiting Room di Daniel Löwenbrück con lui all’interno. Ho già presentato l’artista tedesco e penso che poco si possa aggiungere anche riguardo la sua performance di ieri, ma un’esperienza interessante come quella della Waiting Room vale di sicuro qualche riga. Mi metto in coda per una buona ora, aspettando il mio turno per entrare nella misteriosa stanza. Sarebbe inutile spiegare il mio vissuto personale al suo interno, in quanto l’installazione non prevede uno schema fisso. Già da fuori si sente il ticchettio di un orologio, il senso è chiaro: il tempo là dentro si ferma, è incredibile come sembri tutto fuori da qualsiasi convenzione misurabile. Quando pensi di starci da dieci minuti, in realtà ci sei rimasto mezz’ora. Inoltre l’oscurità (degna dello Schimpfluch-Gruppe) e la paurosa quiete che emana, fanno di questo posto un limbo senza regole, all’interno del quale potersi mettere a nudo e inventare la propria permanenza.
Grazie a Massimiliano Donati per le foto.
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