Magazine Bambini
di cui riporto qui la parte riferita ai risultati di una estesa ricerca etnografica sulla vita digitale dei giovani.
“Hanging out, Messing Around e Geeking out”: la scoperta dell’apprendimento informale con i media digitali
Una delle ricerche che mi hanno avvicinato al dibattito accademico statunitense, che penso sia rilevante anche per comprendere il significato dei progetti di cui parlerò più avanti nell’articolo, si chiama Digital Youth Project. Si tratta di un’estesa ricerca etnografica, la più grande con questa metodologia, sul tema del rapporto dei giovani con i media digitali e la comunicazione mediata. Circa 800 fra bambini e ragazzi sono stati osservati per lunghi periodi (online o nei centri di dopo scuola) e intervistati in merito alle loro pratiche quotidiane d’uso dei media. Alla ricerca hanno partecipato 28 studiosi, la maggior parte delle Università di California di Berkley e Irvine, coordinati dalla Prof.ssa Mimi Ito, che si definisce “antropologa dell’uso della tecnologia”.Il lavoro è confluito nel volume intitolato “Hanging out, messing around e geeking out: living and learning with digital media” scaricabile gratuitamente online. Il libro descrive estensivamente le pratiche di partecipazione con i media digitali di bambini, adolescenti e giovani americani. Dai risultati (non sorprende) emerge che la maggior parte dei ragazzi usa la rete per “hanging out with their peers”ovvero stare in contatto con gli amici, soprattutto quando non è possibile farlo fisicamente. Tuttavia questo non esclude altri modi di partecipare, al contrario può esserne il presupposto. Nel volume sono infatti descritte forme meno diffuse ma più intense di interazione con la tecnologia, come l’esplorazione autonoma, su prove ed errori e sui feedback ottenuti online, del funzionamento di programmi e tecnologie (“messing around”). Ad esempio, si racconta di Derrick,16enne domenicano che vive a Brooklyn, che senza alcun supporto da amici e famigliari recupera informazioni online su questioni tecniche, come inserire una scheda audio nel proprio computer, e diventa per gli amici l’esperto di riferimento. La pratica di ”messing around” sembra trascendere le barriere socio-economiche. Anzi, spesso sono ragazzini di famiglie working-class che in modo autonomo si ingegnano con le tecnologie e ottengono benefici in termini di apprendimento, fiducia in sé stessi e talvolta anche professionali o economici.
Nel volume è descritta anche una forma di partecipazione più intensa, strettamente correlata agli interessi dei ragazzi, in cui la rete viene sfruttata per partecipare e attingere conoscenza in comunità di interesse (“geeking out”). Qui ha luogo quello che gli autori definiscono “youth-driven peer-based learning“, i ragazzi acquisiscono conoscenze in un campo specifico in collaborazione ad altri pari. Si tratta soprattutto di comunità di “fan” come quelli che si radunano nei siti web dedicati ad Harry Potter che, fra le altre cose, estendono la trama originale scrivendo, valutando e organizzando collaborativamente nuove storie. I ricercatori affermano che queste forme di partecipazione sono importanti occasioni di apprendimento, che nascono da attività ricreative e sociali, la cui rilevanza non può essere sottovalutata.
Soprattutto da genitori, educatori e pubbliche istituzioni...
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