Sono un grande ammiratore del Martin Scorsese documentarista, non potevo quindi certo perdermi la visione su grande schermo di George Harrison: living in the material world, filmato che ripercorre la carriera del beatle George Harrison dagli inizi fino alla morte. Ammetto di non essere mai stato un grande fan dei Beatles (nella bipolare divisione del mondo io tifavo per gli Stones), ma l'evidenza non si può negare e l'evoluzione artistica avvenuta sia nei singoli membri che a tutto il gruppo merita in effetti uno sguardo più da vicino.
La pellicola inizialmente è stata concepita in due puntate per la trasmissione in TV, la visione in sala è un po' penalizzata da una durata complessiva davvero eccessiva (tre ore e mezza abbondanti).
La storia personale di Harrison, inevitabilmente, implica una lunga parte retrospettiva sui Beatles, con molte bellissime foto dei tempi degli esordi e di quelli del periodo amburghese dei Fab Four (che in quel momento erano in effetti cinque).
La pellicola segue tutto il percorso umano ed artistico di Harrison tentando (tentativo solo a tratti coronato dal successo) di non farne un'agiografia acritica.
Compaiono in veste di testimoni un sacco di personaggi famosi: Jane Birkin, Jackie Stewart, Eric Idle e Terry Gilliam dei Monty Python, ma anche Phil Spector (dall'aspetto impressionante), Eric Clapton e molti altri più o meno noti al grande pubblico, tutti accomunati dall'avere avuto un ruolo nella vita di Harrison, o - per meglio dire - accomunati dal fatto che Harrison avesse avuto un ruolo nella loro.
La parabola del successo di George Harrison segue, o forse ha contribuito ad inventare, il paradigma rockstar: inizia dall'incontro un po' per caso con Lennon e McCartney, prosegue con la boheme dei primi tempi, per poi raggiungere in modo improvviso un successo spropositato (bellissimi i fotogrammi dei concerti con il pubblico composto di sole ragazzine osannanti), la maturazione artistica e l'inevitabile ricerca di nuovi orizzonti di realizzazione personale. Il tutto condito da donne, droghe, auto, party, ville faraoniche. Insomma la totale mancanza dei limiti che costituisce l'essenza della rockstar.
Scorsese ci mostra però un artista ed un uomo vero che è venuto in contatto con tutti i più importanti movimenti culturali della seconda metà del 900, rimanendo sempre interessato all'esplorazione di nuovi territori espressivi, poco o per nulla attratto dagli aspetti materiali e di immagine pur inevitabili per chi abbia raggiunto quel tipo di successo.
Il lato della personalità che viene indagato più di ogni altro è quello della ricerca spirituale che portò Harrison ad avvicinarsi alle culture indiane, confrontandosi con diversi guru, prendendo però da quel tipo di esperienza quello che riteneva gli potesse servire, rielaborando personalmente gli insegnamenti senza lasciarsene sopraffarre. L'interesse e la tensione verso la morte (vissuta però nel senso di passaggio, senza angosce o morbosità) rivelano forse più di ogni altra cosa la fragilità emotiva dell'artista.
Non mancano le testimonianze degli altri Beatles, così come quella di Yoko Ono (ancor oggi...impressionante). Bella la sequenza in cui Ringo Starr si commuove ricordando le ultime spiritose ed affettuose parole sentite dall'amico in fin di vita.
McCartney dopo quarant'anni si può persino permettere di rendere onore al contributo dato genio artistico di Harrison al successo del gruppo.
Sorprendente per me scoprire fu lui a produrre un film come Brian di Nazareth dei Monthy Python fondando per l'occasione la HandMAde films, casa cui si devono alcuni interessanti titoli degli anni 80 (I banditi del tempo di Gilliam, Mona Lisa di Neil Jordan, Shangai Surprise con Madonna e Sean Penn appena sposati)
Quello che non ho potuto fare a meno di chiedermi, vedendo la pellicola è cosa sarebbe stato di Harrison se non fosse mai salito sul bus per fare il "provino" con Lennon e McCartney. Sarebbe riuscito comunque a sfondare come artista o sarebbe rimasto a Liverpool a condividere il destino della città industriale? Sono quesiti "notturni", che non ci si dovrebbe mai fare, quello che è certo è che Harrison, da giovane artista spiantato, così come da milionaria rockstar è sempre stato un punto di riferimento per coloro che l'hanno conosciuto, grazie alla sua gentilezza, alla propria coerenza non solo di artista, alla sua capacità di capire gli stati d'animo delle persone che lo circondavano.
Ebbene, non c'è bisogno di fare quello che ha fatto lui per essere così, che sia stato baciato dal successo o no, tutti dovremmo avere qualcuno così su cui contare, o almeno questo è il mio augurio per chi si fosse avventurato fino alla fine di questo post!
Living in the material world - The soul of George Harrison
Creato il 23 aprile 2012 da Thetalkingmule @TheTalkingMulePossono interessarti anche questi articoli :
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