Esiste un luogo, in quella parte d’India in cui pochi visitatori decidono di arrivare, in cui, da secoli, i fiumi si attraversano su ponti che non sono stati costruiti, ma cresciuti, coltivati.
Lo stato del Meghalaya, in quel nord-est schiacciato tra Nepal, Bhutan, Tibet, Birmania e Bangladesh, occupa una regione tra le più bagnate al mondo, ricevendo in media almeno quindici metri di pioggia l’anno. Nel pieno della foresta pluviale di questo territorio, tra gli squadrati monti scavati da decine di cascate e corsi d’acqua, c’è un villaggio. Ha soltanto trentaquattro case. Si chiama Nongriat.
A Nongriat ci abitano i Khasi, una tribù che con gli indiani del resto del sub-continente ha poco a che fare. I Khasi hanno lineamenti più orientali, parlano una lingua propria e unica, mangiano la mucca sacra senza farsi troppi problemi, anche se il maiale è il loro piatto preferito. Le donne vestono lunghi teli a quadretti, somiglianti a tovaglie di vari colori, legate ad una spalla. Niente di tutto ciò è però interessante tanto quanto la tecnica sviluppata da questa popolazione per attraversare le rapide dei torrenti che cambiano continuamente di livello durante il corso dell’anno ed in particolare duranti i mesi dei monsoni.
Da oltre 500 anni i Khasi allenano, deviano e indirizzano le radici degli alberi di Ficus Elastica, che in questa regione fioriscono rigogliosi, a crescere le proprie radici orizzontalmente, oltre i fiumi, a formare resistenti trecce che possano successivamente essere attraversate a piedi. Questo sistema è stato dichiarato un fenomeno della bio-ingegnieria, in quanto un normale ponte di legno non riuscirebbe a sopravvivere in tale umidità, finendo per marcire nel giro di poco tempo, mentre i ponti di radici di Nongriat non solo vengono utilizzati da secoli, ma diventano più resistenti di anno in anno. Perché? Perché sono vivi.
Il ponte Double-Decker, a Nongriat, India
Per creare queste strutture i Khasi hanno utilizzato tronchi cavi che fungono da tubature all’interno dei quali le radici vengono inserite. Qui queste crescono senza potersi agganciare al terreno fino al raggiungimento della sponda opposta, momento in cui vengono liberate e possono così fissarsi al suolo. Perché un ponte di questo tipo sia funzionante sono necessari almeno dieci anni, ma la pazienza porta senza dubbio i suoi frutti: mentre sugli altri ponti costruiti con cavi metallici che si trovano nella regione non è consigliato salire in più di uno alla volta, i ponti di radici reggono fino a cinquanta persone contemporaneamente.
Raggiungere Nongriat non è un’impresa semplice. Qui non arrivano strade, non vi è possibile accedere su ruota. L’unico modo per arrivare a Nongriat è scendere i 3.400 scalini che la collegano a Tyrna, il villaggio più vicino raggiunto dall’asfalto. Questa discesa, che farebbe tramare le ginocchia a chiunque, viene effettuata andata e ritorno almeno quattro volte la settimana dagli abitanti del villaggio carichi di provviste. Il dottore scende una volta ogni sette giorni, mentre un’insegnante vive in una delle trentaquattro case. Alla base del villaggio è stata costruita una rest house con quattro stanze per poter permettere ai visitatori di ammirare con calma il più speciale dei ponti, conosciuto come il double-decker. Questo è un ponte a due piani che oltrepassa una doppia cascata sotto la quale è possibile nuotare, è l’unico al mondo di questo genere ed è riuscito ad attirare l’attenzione della BBC che nel 2008 è passata da queste parti per filmare un documentario.
I ponti, oltre ad avere un valore incalcolabile per la popolazione locale e rendere il piccolo villaggio di Nongriat degno delle scene di Avatar, rappresentano meglio di qualsiasi altra struttura esistente un utilizzo completamente sostenibile delle risorse messe a disposizione dalla natura e sono un esempio concreto di come si possa riuscire a pensare a metodi in armonia con l’ambiente che ci circonda per far fronte ad ogni necessità, anche le più fondamentali.