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Livorno Magazine: Giuseppe Benassi, “Occhi senza pupille”

Creato il 21 ottobre 2012 da Patrizia Poli @tartina

da Livorno Magazineg-benassi-occhi-senza-pupil del 20 ottobre 2012

di Patrizia Poli

Occhi senza pupille

Giuseppe Benassi

Vertigo

pp. 95

Gli “Occhi senza pupille” del titolo sono quelli ritratti da Amedeo Modigliani, occhi che non guardano all’esterno bensì all’interno. È ciò che fa l’avvocato Leopoldo Borrani, che opera nella città dove Modì nacque, Livorno, odiandola e amandola allo stesso tempo. Borrani si sposta fra un ufficio in Via Borra e un caffè in piazza Cavour. Peccato solo per quei protagonisti i quali, più che livornese, parlano fiorentino. Giuseppe Benassi, l’autore del romanzo, è infatti livornese solo di adozione e la mimesi linguistica non gli riesce del tutto.

Borrani ha nel sangue la sua città ma ne sente “il lezzo”, ne percepisce il degrado, fatto di personaggi che sembrano a loro volta usciti da un quadro di Sickert, per rimanere nell’ambito pittorico. Personaggi per i quali la vita è già finita, le illusioni sono morte, la disperazione è in agguato. Così è Corinna Repetti, antiquaria, che ricorda la portinaia de “l’Eleganza del riccio”, sciatta, pisciosa, ma con una sua dignità nascosta a illuminarla dall’interno, a procurarle, al contrario del personaggio della Barbery, un meritato lieto fine. Così è Eustachio Bernardi, commendatore sudato, sgraziato spasimante di Corinna, così è lo squallido Mafhuz, giovane re marocchino marito di Corinna.

Attorno alla figura di Corinna, già a partire dal suo nome che riporta a quello della cugina di Modigliani, ruota un mondo “altro”, fatto di coincidenze, di rimandi, di intrecci misteriosi, di richiami.

Stava muovendosi in un mondo misterioso, dove tutto quel che accadeva era inesplicabile, inatteso, e dove tutto poteva succedere. Attorno a lui, tutto era visibile eppure inafferrabile.” (pag. 45)

Gli occhi senza pupille sono anche gli occhi di vetro delle bambole di Corinna – che tanto richiamano le bambole elettriche di Marinetti - gli stessi occhi che le indicheranno la via, permettendole di trarsi d’impiccio; ma anche gli occhi spenti della cieca indiana, e ancora gli occhi cantati da Lautrémont, il poeta che Modigliani amava e che esercitò un’influenza fondamentale sul surrealismo. Questo rimandare ad altro, a un universo parallelo, coincide per Borrani col guardarsi dentro, scendere agli inferi, scoprire i propri lati misteriosi, il rapporto con la morte, con l’aldilà, ma anche con la donna che frequenta, Marianna Messori, amata e non amata, tollerata e non tollerata, la quale, a sua volta, rivelerà angoli inesplorati, introducendolo nel mondo misterioso e splendente dell’arte di Modigliani capace di scintillare solo “attraverso la tenebra”.

Una buona metà del romanzo si svolge a Parigi, dove Modigliani visse un’esistenza maledetta, finendo seppellito al Père Lachaise a soli trentacinque anni. Modigliani “dipingeva in trance, spesso sotto l’effetto di alcool o di droghe. La tela bianca era come il muro su cui Lautrémont vide proiettato un profilo” (pag. 67). Farsi ritrarre da lui era come farsi spogliare l’anima.

All’inizio del novecento, Parigi era un covo di maghi, di occultisti, di gente che passava il tempo a far sedute spiritiche” (pag 67) E, per associazione d’idee, ci vengono in mente i cupi scenari de “Il cimitero di Praga” di Eco.

A Parigi, nei primi vent’anni del novecento, nascono tutte le avanguardie, là dove operano gli alchimisti, i cabalisti, ma anche i cubisti, i futuristi. La pittura di Modì mescola gli elementi dell’alchimia: la terra, la pietra, l’acqua, il fuoco, il colore. Una delle sue amanti è allieva di Madame Blavatski, i suoi quadri sono pieni di simboli - come le tele di Leonardo secondo Dan Brown. Le sue annotazioni richiamano l’androgino, l’unione del maschile e del femminile, le sigizie gnostiche, Ermete Trismegisto, il numero della Bestia e dell’Apocalisse, la sezione aurea. In particolare, quest’ultima è “la cosa più simile a Dio, unico e incommensurabile”. La sezione aurea contiene il segreto dell’armonia, si ritrova nella natura e in tutte le opere dei più grandi artisti, dalla piramide di Giza alle sculture di Fidia, dal Partenone a Piero della Francesca.

Modigliani, ebreo livornese, imbevuto di esoterismo e di cabala, sta cercando, suggerisce Benassi, d’interpretare Dio attraverso la propria opera.

La trama ci avvince quasi nostro malgrado, s’intreccia e si dipana fino alla conclusione non ovvia che “la fortuna arride a chi non la cerca”, il tutto in uno stile che alterna un modo di narrare tradizionale ad altri più stringati, moderni, fatti di dialoghi veloci, di battute, di descrizioni che sembrano appunti di taccuino.

Patrizia Poli



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