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Lo Hobbit - trilogia (regia di Peter Jackson)
Creato il 09 gennaio 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctuaAll'inizio ero perplessa per la scelta di Peter Jackson di dilatare così tanto il romanzo dedicato alle avventure di Bilbo Baggins, creando la successione dei tre film Un viaggio inaspettato, La desolazione di Smaug e La battaglia delle cinque armate, ma è ovvio che, se l'intenzione del regista era quella di riportare in sala il pubblico che aveva amato Il Signore degli Anelli, non era possibile proporre nelle sale la trasposizione del racconto fiabesco che narra della riscoperta dell'Unico. In questo senso si è resa necessaria la ripresa di un filone narrativo contenuto nell'ultima parte del Silmarillion, anche se i riferimenti a questa Bibbia della Terra di Mezzo sono molto più pervasivi. Fin qui tutto bene: chi entrava in sala non poteva aspettarsi le tinte meravigliose e talvolta sognanti del romanzo tolkeniano e si doveva aspettare un racconto ben più duro e cruento.
Non sembravano però necessarie alcune libertà che Peter Jackson si è preso probabilmente per dare una continuità anche alle aspettative delle donzelle che, ai tempi della prima trilogia, sospiravano di fronte all'amore di Aragorn e Arwen: se anche allora era stato fatto uno strappo alla trama, sostituendo la principessa figlia di Elrond all'elfo di Gondolin Glorfindel, tuttavia allora Jackson si era limitato ad anticipare, attraverso questo adattamento, una vicenda presente nelle appendici de Il Signore degli Anelli e la scelta non appariva artificiosa. Ben diversa la totale invenzione del personaggio dell'elfa di Bosco Atro Tauriel (Evangeline Lilly), per cui spasima Legolas, in un amore ostacolato non solo dalla durezza del padre di lui e re del bosco, ma anche dai sentimenti che improvvisamente avvicinano Tauriel a Kili (Aidan Turner), uno dei Nani della compagnia di Thorin. In questo caso, ne risulta un nucleo narrativo stucchevole e decisamente superfluo, che si insinua nel secondo capitolo della trilogia e viene esulcerato nel terzo, con effetti patetici che avremmo voluto risparmiarci e che arrivano a introdurre una psicologia del tutto fuori luogo nell'interpretazione della figura di Thranduil (e in parte di Legolas), di cui viene smussata la solenne grandezza, sacrificata ai buoni sentimenti. Tolto questo snodo narrativo, la trilogia è, nel complesso, buona, anche se a mio avviso non all'altezza delle elevatissime aspettative create: rimangono ottime le scene di battaglia (un po'troppo rocambolesca quella contro il drago nel finale de La desolazione di Smaug) e le ricostruzioni dei luoghi, come pure torna a farsi notare la portentosa colonna sonora firmata da Howard Shore. Su tutto, però, prevale una luce irreale, che rende falsi colori ed espressioni: spesso dominano tinte grgio-blu e i volti dei personaggi reali sembrano realizzati in computer grafica, una tecnica che, seppur necessaria, arriva talvolta a tradirsi, come accade nelle fattezze di Azog. Manca, insomma, al Lo Hobbit, che rimane un buon esempio di cinema fantastico, quella solennità e quella spontaneità che davano alla trilogia precedente il gusto della grande narrazione cavalleresca ed epica e che sapevano creare effetti drammatici di fortissima intensità: non ci sono, in nessuno dei tre capitoli, momenti di emozione paragonabile a quello della caduta di Gandalf o della morte di Boromir, alla carica disperata dei cavalieri di Gondor guidati da Faramir o dei Rohirrim di Theoden e la focalizzazione eroica sulla figura di Thorin (comunque molto riuscita) viene totalmente abbandonata nel finale, tutto concentrato sulla prospettiva di Bilbo. Insomma: Lo Hobbit è un piacevole prodotto cinematografico, ma era difficile, se non impossibile, eguagliare la trilogia dell'Anello.
C.M.
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