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Lo ius soli: dal Movimento Cinque Stelle all’Italia

Creato il 11 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online
Beppe Grillo e le polemiche sullo ius soli

Beppe Grillo in un comizio a Torino

Dopo la questione legata alla diaria, Beppe Grillo tocca un altro tema, quello dello ius soli. “E’ più italiano il figlio di immigrati nato e cresciuto in Italia piuttosto che un argentino, nipote di italiani, che l’Italia non l’ha mai vista. E’ una questione di diritti fondamentali tra cui il diritto alla cittadinanza”. Così dichiara Alessandro Di Battista, deputato del Movimento 5 Stelle, schierandosi contro quella che di fatto dovrebbe essere la linea del suo stesso partito, espressa da Beppe Grillo, che si era schierato contro la proposta del ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge circa la riforma della legge sulla cittadinanza. Di (autorevole) parere opposto è, tra gli altri, la Presidente della Camera, Laura Boldrini, che aveva invece ritenuto “auspicabile” una revisione della medesima legge, e che con tali parole ha provocato un certo sdegno tra le file del PDL, favorevole al mantenimento dello status quo, ed interlocutore essenziale (perchè, d’altra parte, partito di governo) per un’eventuale riforma.

Non solo il Movimento 5 Stelle o il nostro Parlamento sono divisi sulla questione; in realtà, la tematica della cittadinanza è calda un po’ in tutto il mondo, o almeno, nel mondo occidentale che “subisce” (anche se troppo spesso questo termine è usato in funzione negativa) una forte ondata migratoria.
Sicchè esistono due fondamentali metodi di affrontare il problema, o due fondamentali metodi di acquisizione della cittadinanza che la maggior parte degli Stati hanno fatto propri: lo ius sanguinis e lo ius soli. Nel primo caso, il diritto di cittadinanza proviene “dal sangue”, nel senso che, in linea di massima, si diventa cittadini di un certo Stato per il fatto di essere nati da uno o da entrambi i genitori in possesso della cittadinanza di quello Stato. E’ questo il metodo attualmente in vigore in Italia e nella maggioranza dei paesi europei, i paesi “di origine”, che subiscono l’immigrazione da un periodo relativamente breve di tempo. La Francia, per la sua particolarissima storia, fa eccezione. Nel caso dello ius soli, invece, il diritto nasce “dal suolo”, nel senso che è cittadino dello Stato chi nasce nel territorio dello Stato. E’ il meccanismo sostanzialmente di tutta l’America, che l’immigrazione l’ha subita proprio come condizione necessaria per la nascita degli Stati esistenti oggi: dal Canada all’Argentina, esclusa Cuba.

E’ sbagliato però pensare che esista solo un bianco o un nero, che si possa scegliere l’una o l’altra alternativa e basta. In numerosi paesi europei, per esempio, pur vigendo lo ius sanguinis, è da considerare che secondo le attuali leggi è possibile diventare cittadini di quegli Stati dopo un certo numero di anni, ed in molti casi prima dei diciotto anni. Lo ius soli “puro”, contro cui si sono schierati Lega, PDL, Fratelli d’Italia, insomma il centrodestra comunque in qualche modo legato a controversie circa l’immigrazione (gli autori o sostenitori della Bossi-Fini, per intenderci), non è che una prerogativa degli Stati Uniti d’America e di pochi altri Stati, e difficilmente verrà inserito “così com’è” nella nostra legislazione.
“Tanto rumore per nulla”? In qualche misura sì, perchè è evidentissimo che le attuali leggi sulla cittadinanza, ed in generale quelle inerenti l’immigrazione, mostrino il fianco a numerosissime critiche: trattandosi di un settore così sensibile dell’architettura statale, sarebbe opportuno auspicare di trovare una soluzione moderna e condivisa da tutti a questo problema. Come sempre, la stagnazione e l’immobilità sono i nemici contro cui combattere: in questo senso, la neoministra Kyenge lascia ben sperare verso, almeno, la riapertura di un dibattito molto sentito e troppo sopito.

Articolo di Giacomo Conti.

Foto Giorgio Brida, licenza  CC BY, modificato


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