Lo prendono in giro perché ama il rosa: quindicenne si uccide #ioportoipantalonirosa

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Gli episodi di omofobia, come quelli della violenza di genere, sono in continuo aumento nel nostro Paese e nel resto del mondo, fenomeni legati ad un’unica matrice: il patriarcato, che genera violenza quando vede messi in discussione i modelli maschili socialmente costruiti, quelli basati su aspettative maschili stereotipate.

In Francia l’omosessualità è oggetto di dibattito politico, le proposte di legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso è tra le proposte di legge e le reazioni omofobe si sono fatte sentire in tempo. Molte associazioni cattoliche hanno organizzato manifestazioni omofobe e aggredito chi sosteneva i matrimoni tra LGBT, tra cui le attiviste del collettivo Femen.

In Italia il contesto omofobo è ancora più aspro: perfino la classe politica mostra sentimenti anti-omosessuali, negando perfino la tutela degli omosessuali da episodi di omofobia. Questo atteggiamento veicola un duplice messaggio: il primo è la sensazione di impunità degli autori di omofobia, forti della legittimazione che le istituzioni gli concedono circa l’odio di persone LGBT, attraverso la mancanza di tutela di questi ultimi dalla violenza e dall’atteggiamento apertamente omofobo del sistema politico e di tutte le aziende di socializzazione, quali la scuola e la famiglia. Il secondo è l’incapacità di riconoscere questi atteggiamenti come reati. Inoltre i politici utilizzano spesso un linguaggio sessista e omofobo, il quale non fa altro che legittimare il fenomeno.

Gli episodi omofobi aumentano in modo spaventoso nel nostro Paese. Non c’è giorno che le nostre cronache non riportano storie di ragazzi omosessuali picchiati, offesi, ridicolizzati, umiliati e discriminati. Ieri è toccato ad un ragazzino di soli 15 anni, Andrea, la cui “colpa” risiedeva nel fatto di indossare abiti rosa, colore da sempre imposto solo alle femmine sin dall’asilo.

La morte di Andrea è responsabilità di un’istituzione scolastica che continua a differenziare maschi e femmine secondo rigidi ruoli. In Italia, il tema dell’identità sessuale non solo non viene affrontato, ma sono i professori a punire chi non si attiene alle aspettative che la società ha verso i generi. Perché dalle indagini emerge che la professoressa aveva sgridato la vittima perché “si era vestito di rosa e si era smaltato le unghie”, contribuendo ad alimentare il clima omofobo e il bullismo contro di lui. Il portavoce del Gay Center, Fabrizio Marrazzo, che ha affermato che “casi di questo tipo sono tutt’altro che rari e ci sono scuole dalle quali riceviamo numerose segnalazioni di insulti omofobi. Peccato che non tutti i presidi siano così disposti a collaborare con noi. E, invece, la formazione dei ragazzi è tutto“.

Su Facebook è stato creato un gruppo per deridere quel ragazzo che “portava i pantaloni rosa”. Pare che il ragazzo subiva anche stalking, additato come gay. Non è soltanto una storia di ordinaria omofobia: qui c’è un ragazzo portato al suicidio perché vestiva in rosa. C’è un ragazzo la quale omosessualità è stata attribuita in base al proprio abbigliamento perché non si sa se era gay.

Questo episodio non solo è segno di grave omofobia ma anche di maschilismo ed è gravissimo perché rivela un maschilismo ancora fortemente accentuato nelle giovani generazioni, generazioni che in futuro saranno i nostri datori di lavoro, i nostri insegnanti, i nostri vicini di casa, i nostri padri, i nostri mariti, i nostri fratelli.

“Forse perché così mi pare ancora di parlarti, forse per questo entro ed esco dal tuo profilo, indosso il tuo pigiama,cerco tra i tuoi appunti, i tuoi disegni, le tue cose”

Sono le commoventi parole della mamma a cui le hanno strappato un figlio. La vicenda si consuma al liceo Cavour di Roma. Andrea si impicca al ritorno da scuola. Due anni di violenze iniziata a novembre del 2011, quando alcuni suoi compagni di liceo hanno aperto su Facebook una pagina per prenderlo in giro, additandolo come gay, perché amava vestirsi e truccarsi secondo caratteristiche culturalmente definite femminili, ossia si truccava e si vestiva di rosa.

Il Circolo di Cultura Mario Mieli denuncia una situazione di ignoranza “che colpisce chi si trova in un età delicatissima di affermazione della propria identità e si trova spesso a farlo in un contesto sociale e familiare ostile o indifferente”. La gravità del fatto risiede nella negazione del fenomeno da parte dei compagni e dei professori. Secondo il Circolo “L’atteggiamento di chi minimizza a semplici bravate insulti e ingiurie, finisce per risultare colpevolmente complice”.

La procura di Roma apre un’inchiesta per istigazione al suicidio. Su Facebook si accendono le polemiche e cominciano ad essere diffusi tantissimi messaggi di solidarietà verso Andrea. La pagina che ha portato il bambino a togliersi la vita è stata chiusa, mentre su Twitter è stato lanciato l’hashtag #ioportoipantalonirosa come il nome della pagina che offendeva Andrea ma in segno di protesta.

Serve al più presto una legge contro l’omofobia e una cultura che de-costruisca la componente fortemente patriarcale della società italiana che limita la libertà a donne e uomini di esprimersi indipendentemente dal proprio genere di appartenenza. L’inciviltà di questo Paese su questi temi lo rivela ogni volta che una donna viene uccisa ( oggi altri due femminicidi) in quanto donna e un omosessuale viene ucciso o portato ad uccidersi in quanto tale. 

In segno di solidarietà ad Andrea e alla sua famiglia, l’Unione degli Studenti, il Link Coordinamento Universitario e la Rete della Conoscenza hanno organizzato 19.30, a Roma, una fiaccolata. I suoi funerali si terranno domani.



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