Questo è un argomento già affrontato numerose volte su queste pagine, ma come si dice spesso “repetita iuvant”: parafrasando un noto scrittore, “non credete a nessuno che non capisce nulla di quello di cui sta parlando” (don’t trust anyone over 30’s…).
Ferdinando Camon, intellettualoide tuttologo di dubbia competenza informatica ci ha ammonito da “La Stampa” di Torino, noto foglio vicinissimo all’intellighenzia piemontese dei seguaci di Giovannino Lamiera “Ma cosa vale di più, la libertà di internet o la vita di una ragazzina ?”.
Posto che gli editori di questo “giornale” sono gli stessi personaggi che definiscono sfigati i giovani che non dispongono di un nonno padrone della Fiat (e peraltro non avrebbero nemmeno tutti i torti, visto che probabilmente a molti piacerebbe disporre, ad onta di capacità oggettivamente limitate, di stipendi e posizioni sovradimensionate rispetto alle proprie competenze) questa frase è particolarmente insidiosa, oltre che scorretta dal punto di vista della completezza di informazione.
L’intelligente Camon si riferisce alla quattordicenne padovana che, a seguito di una serie di insulti su un social network ha preso la decisione suicidarsi, ed a cui il buon Camon deriva la conclusione per cui “internet va regolamentata” perché “la rete è un far west” dove “chiunque, protetto dall’anonimato, può prendere di mira altre persone devastandone la vita”, quindi “servono regole che portino la civiltà”.
Verrebbe da chiedersi come mai queste logiche debbono essere applicate alla rete e non alla tv commerciale (o statale), ma capite da soli che il concept della politica non è certo quello di democratizzare la televisione, dove i soliti ignoti presenziano da anni imperversando e facendosi eleggere per sfinimento: viceversa è solo la rete che va “regolata”.
Che non vi salti in mente che questa idea sia legata al motivo inconfessabile che per sua stessa caratteristica la rete sia incontrollabile (e quindi potenzialmente nefasta per la casta): pensate davvero che la politica possa anche solo immaginare di limitare la rete ? Erdogan docet…
Non mancano esempi di logiche identiche a casa nostra: da Gabriella Carlucci (ex parlamentare dell’ex Pdl), che si proponeva di vietare l’immissione in rete (o la sua agevolazione) di qualsiasi contenuto in maniera anonima, alla proposta di Raffaele Lauro (ex Pdl, ora gruppo misto) che voleva creare un reato di istigazione e apologia dei delitti contro la vita e l’incolumità della persona, aggravato se online; da Gianpiero D’Alia (Udc, ministro alla Pubblica amministrazione nel governo Letta) per il quale era normale pensare di chiudere Facebook o YouTube, come sta avvenendo in Turchia, se questi non rimuovevano contenuti ritenuti illeciti, ai vari “commi ammazzablog”, i tentativi non sono mancati: il trasversalismo della politica tocca la deputata Pd Alessandra Moretti firmataria dell’ultimo progetto di legge per la limitazione dei contenuti della rete.
Tutti questi geni folgorati sulla via di Damasco alla scoperta dell’odio online, come se questo non fosse mai mancato nella società italiana pre-internet: Delle spranghe anni ’70 e delle allucinanti farneticazioni dai microfoni di Radio Radicale, quando la decisione dell’emittente di mandare in onda senza filtri gli interventi degli ascoltatori diede la stura a insulti di ogni tipo.
Ma è proprio vero che la rete è senza regole ? Chiedete al Tafanus se questo blog è davvero libero: vi risponderebbe che grazie a queste pagine anche lui ha avuto ed ha le sue belle gatte da pelare, in quanto la politica ha tentato (riuscendoci anche qualche volta) di imbavagliare la rete tramite una serie infinita di lacci e lacciuoli utili a tenere come si dice “para las pelotas” i blogger (1)
Considerato che le leggi per l’editoria valgono identicamente per la rete, e che anzi vista la maggiore diffusione potenziale garantita da internet, nel caso di Stalking, odio razziale e diffamazione eventuali pene prevedono quella che in giuridichese si chiama “aggravante”.
Pensate che, come al solito, le leggi italiane siano tolleranti da qiuesto punto di vista ? Ebbene no, a seguito della frase pubblicata su facebook il 13.06.2013 “mai nessuno che se la stupri ?” riferita a Cecile Kyenge Dolores Valandro (Lega Nord) è stata condannata ad un mese di reclusione ed all’interdizione ai pubblici uffici per tre anni.
Questo avveniva il 13 luglio 2013… Le difese ci sono, altroché, solo che si applicano alla casta, non alle numerose donne vittime di pestaggi o peggio.
A questo punto dovremmo dire che la diffusione dei social network amplifica la violenza e l’odio: ancora sbagliato, basta riportare i dati ISTAT sui suicidi fra i ragazzi fino a 24 anni nel 1993 (3,9 su 100.000 per i maschi e 0,9 per le femmine) e 2012 (2,1 su 100.000 per i maschi e 0,6 per le femmine).
Dati alla mano, la rete non ha incrementato il numero dei suicidi, quindi il Cyberbullismo enorme della rete è una bufalazza.
I dati diffusi dal Viminale ci dicono che la violenza e gli atti di aggressione dal 2000 ad oggi in realtà sono in costante diminuzione, così come sono in diminuzione gli omicidi, al contrario dei furti e delle rapine (stranamente in aumento dopo ogni indulto).
Riporto i dati relativi all’incidenza dei crimini riportati dal Ministero degli Interni; gentilmente il lettore convinto dell’inutilità della carcerazione eviti di fare la solita obiezione relativa ai dati oggetto di querela o di comunicazione all’autorità giudiziaria, essendo il rapporto fra crimini oggetto di denuncia e non più o meno fissa e dipendente dalla tipologia di reato.
Per vostra informazione si denuncia un furto mediamente nell’83% dei casi mentre la violenza da sconosciuti nel 96% dei casi. Per la cronaca le stime sulle denunce a seguito di violenza da parenti o conviventi si aggirano attorno al 38% dei casi…
Transeat, parliamo della splendida logica di Camon per cui “la rete va controllata” a seguito dell’”anonimato” garantito dalla rete: una minchiata devastante che evidenzia quanto lo scemo digitale sia dannoso.
Qualcuno di voi sa che gli oggettini che tutti noi ci portiamo in tasca hanno un interessante codicillo che risponde al nome di codice IMEI ? E che la pubblicazione di qualunque testo da cellulare oppure da computer rilascia in rete dei piccoli sassolini che permettono una facilissima tracciabilità dell’autore ?
No, vero ? Facciamo un esempio: vi sono numerosissimi commentatori del Tafanus che sparano minchiate solenni convinti del fatto che mai e poi mai si possa risalire alla loro identità oppure a quello che fanno nella vita di tutti i giorni.
Chi ha un minimo di competenza sa che risulta abbastanza semplice invece ottenere informazioni estremamente esaustive tramite un semplice codice HTML generato da qualunque terminale digitale, e da questo ricevere graziosamente il curriculum Vitae di chiunque tramite un qualunque motore di ricerca.
Parafrasando il fondatore di Wikileaks Julian Assange, “se avete un telefono o un computer, allora siete fregati”…
Molti “geniali” attribuiscono alla rete lo sviluppo incontrollato del cyberbullismo “il pericolo maggiore secondo il 69 per cento dei ragazzi under 18».
Si è tratta di un errore grossolano: secondo quasi il 70 per cento degli stessi ragazzi interpellati a essere considerato un «pericolo forte in questo momento” è il bullismo in generale, e internet è solo il quarto luogo nella classifica di quelli percepiti come fonte di potenziale pericolo, dopo la scuola, le piazze, i locali.
“Cyberbullismo: un fenomeno sopravvalutato?”, si chiedeva nel 2012 un approfondito studio scientifico del professore Dan Olweus dell’università di Bergen, esperto mondiale del tema, che ha analizzato oltre 450mila studenti americani e norvegesi per cinque anni.
Le sue conclusioni sono che l’allarme sul cyberbullismo è esagerato dai media; che si tratta di un fenomeno assolutamente minoritario rispetto al bullismo nella vita reale, e che non sarebbe neppure aumentato negli anni analizzati.
Per il Web Index Report 2013 le leggi sulla “responsabilità degli intermediari” ricadono nella categoria di «restrizioni della libertà di opinione ed espressione».
Non a caso un altro importante rapporto sulla rete, il Freedom on the Net 2013, include tra i fattori che hanno contribuito a far crescere la censura a livello globale proprio la crescente responsabilizzazione degli intermediari.
Che, per eccesso di prudenza, finiscono col rimuovere qualsiasi contenuto considerato a rischio: in 22 dei 60 paesi esaminati, la responsabilizzazione è stata “sproporzionata” nell’ultimo anno.
E del resto, proibire l’anonimato ha un effetto impercettibile sulla riduzione dell’odio in rete: la Corea del Sud, che nel 2007 ha obbligato alla registrazione con identità reale su tutti i siti con più di 100mila visitatori, ha per esempio scelto di eliminare il requisito nel 2011, dato che richiedere la vera identità ha ridotto la quantità di commenti di odio solo dello 0,09 percento.
“La nozione comune che il digitale non sia “reale” ma “virtuale”, un “cyber” spazio a sé», afferma il sociologo e teorico dei nuovi media Nathan Jurgenson, «ha influenzato il modo in cui le persone rispondono alle molestie online. Le percepiscono non come vere molestie, ma come qualcosa di meno serio e dannoso”.
Non è una coincidenza, prosegue, che l’odio in rete “ricalchi le forme con cui abbiamo familiarità da lungo tempo, spesso dirette verso i gruppi sociali più deboli e vulnerabili: le molestie in rete non sono una questione a sé, ma fanno parte delle stesse tendenze culturali che spiegano le molestie in generale”.
Per Jurgenson, il superamento di quello che chiama “dualismo digitale” è importante per capire come affrontare l’odio con politiche che riflettano non solo la realtà delle molestie online, ma anche le sue conseguenze sulle disuguaglianze sociali.
Perché la rete non è un mezzo intrinsecamente democratico ed egualitario – lo dimostrano la crisi globale delle democrazie nonostante due decenni di rivoluzione digitale e l’incremento del divario tra i primi e gli ultimi, la cui causa è anche la tecnologia – e non è vero dunque, come sostiene Boldrini, che insultandola si “snatura”.
Ciò di cui c’è bisogno, concordano gli interpellati, è una “educazione digitale” che consenta di comprendere le reali dinamiche sociali ma anche di potere e influenza sul web. Per Soro è la prima cosa da fare: «Proviamo a far entrare fin dalla scuola di base la cultura dell’interezza della vita quando si svolge nello spazio digitale».
Dianora Bardi, professoressa liceale che fa lezione con i tablet e tiene corsi in tutta Italia sulle tecnologie applicate alla didattica, afferma: “Il mondo del virtuale è semplicemente quello in cui vivono i ragazzi, non c’è alcun dualismo per loro”.
La sfida quindi è aiutarli a formarsi una coscienza civile sia online sia offline, senza inutili allarmismi o proibizionismi, peraltro utili solo alla gestione del consenso (e qui tiro sempre in ballo il grande Noam Chomsky).
“Non sono a favore di vietare un sito, perché quando si proibisce diventa più attraente, e ci sarà sempre un altro luogo online da mettere al bando. Meglio rendere consci i ragazzi di tutti i pro e i contro, fargli usare gli strumenti con spirito critico.
Del resto basta osservare le “educative” tribune elettorali o una qualunque puntata di “Porta a Porta” per verificare che i modelli sbagliati non sono certo quelli della rete: in altri termini il problema è il modello degli adulti sui ragazzi, è esperienza di tutti vedere in TV persone che si comportano peggio del più feroce cyberbullo.
Arianna Ciccone, cofondatrice del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, rincara la dose: “Purtroppo sui social e soprattutto su Twitter gran parte dei giornalisti italiani ha dato e continua a dare spettacoli che non avremmo voluto vedere. I social, se sei un giornalista, e per di più di punta, di una nota testata, andrebbero vissuti esattamente con le stesse policy che si usano per il giornale. Altrimenti il rischio è alimentare una retorica che può fare danni serissimi”.
Serve quindi uno sforzo collettivo e ragionato per cambiare una cultura radicata e diffusa nel paese se davvero si vuole contrastare l’hate speech: adottare nuove leggi sull’onda della voglia di controllare un media non prono alla volontà dei potenti va esattamente nella direzione opposta.
Resta solo un dubbio: ma di questo discorso i nostri intellettualoidi ed i nostri politicanti cosa capiranno, atteso il fatto che gli ultimi anni hanno dimostrato solo la loro sostanziale incapacità sia di utilizzo che di previsione dell’evoluzione della rete ?
Ricordatevi dello spin doctor di Monti che lo spinse a “twittare” i suoi pensieri… e provate ora a vedere quanto tweet il professore ha diffuso dopo.
Avreste qualche sorpresa…”
Alessandro Cariani
Il più stupido dei procedimenti mi è arrivato, tramite un "noto studio legale milanese", per opera, purtroppo, di un parlamentare PD, di cui avevo pubblicato la sentenza di condanna in primo grado per corruzione. Essendo poi stato prescritto, tramite il "noto studio legale" pretendeva non solo che cancellassi il post, ma che lo facessi sparire dalla rete (anche nella sua copia cache), evocando il "diritto all'oblio". Ho chiesto che mi mandassero la sentenza di archgiviazione, e che l'avrei pubblicata insieme a quella di condanna in primo grado (per completezza d'informazione). Ma, da "bravi esperti", pretendevano, minacciando sfracelli, che io intimassi a Google di far sparire anche la copia cache del primo post. Li ho mandati affanculo, con la mia consueta gentilezza, invitandoli a procedere contro di me per vie legali. Non li ho piuù sentiti.
Il terzo (tuttora aperto) riguarda un peone renzino, e un mio post su di lui di circa due anni fa. Querelato per diffamazione. Il cretinetti non si era neanche accorto che insieme a me avrebbe dovuto querelare mezza stampa italiana, perchè le notizie date da me erano anche sull'Espresso, su Repubblica, e su tutti i maggiori quotidiani nazionali.
Quando ho scoperto (un anno e mezzo dopo la querela) di essere stato querelato, sono andato a vedere che fine avesse fatto il mio querelatore: aveva già fatto in tempo a sbagliare altre due o tre volte: era passato da Renzi a Monti, con grande intuito, proprio quando Renzi iniziava a salire, e Monti a scendere. L'inchiesta è da mesi nelle mani del magistrato De Pasquale del tribunale di Milano, e da mesi non ne so più niente...
Per chi è cos' imbecille da pensare che una email a un blog sia coperta dall'anonimato, ecco, per il vostro divertimento, le "impronte digitale" di una email che ho ricevuto da typepad (ho cancellato alcune righe":
ìFrom - Sat Mar 29 23:05:35 2014 X-Account-Key: account3 X-UIDL: 23658 X-Mozilla-Status: 0001 X-Mozilla-Status2: 00000000 X-Mozilla-Keys: Return-Path: <bounce-mc.us5_11580131.212205-tafanus=libero.it@mail55.wdc01.mcdlv.net> Received: from mailrelay24.libero.it (192.168.32.110) by ims4b6.libero.it (8.6.060.35) id 53009AAD023E2EE5 for tafanus@libero.it; Fri, 28 Mar 2014 17:04:08 +0100 Received: from mtalibero16.libero.it (EHLO mtalibero16.libero.it) ([192.168.36.178]) by mailrelay24.libero.it with ESMTP id ZOO77709; Fri, 28 Mar 2014 17:07:14 +0100 (CET) Received-SPF: Pass identity=mailfrom; client-ip=205.201.129.55; receiver=mtalibero16.libero.it; envelope-from="bounce-mc.us5_11580131.212205-
Mi fermo qui, perchè poi entrano dati personali, ma la "Cosa" va avanti per una pagina e mezza word. A beneficio delle varier Carlucci, infine, vorrei far presente che chiunque abbia un "dominio" (ad esempio "tafanus.it") è sufficiente andare su un motore del tipo "who's by domaine" per sapere nome, cognome e tutto quanto serve per sporgere querele, richieste di danni, e quant'altro
Anonimato sticazzi.
Tafanus