Provo a ricapitolare la situazione che ci attende all’apertura della Conferenza di Copenaghen nel prossimo mese di dicembre.
Nel 1997 nasce il trattato internazionale noto come “Protocollo di Kyoto” sul riscaldamento globale. L’obiettivo che questo trattato si pone è quello di ridurre a livello mondiale la produzione di gas serra del 5% nel periodo 2008-2012.
Nel 2002 i Paesi dell’Unione Europea si impegnano a ridurre la loro produzione di gas serra dell’8% entro il 2012.
Nel 2005 entra in vigore il Protocollo di Kyoto, frattanto ratificato anche dalla Russia.
Nel 2007 gli USA annunciano che non sottoscriveranno l’impegno di Kyoto.
In uno studio dal titolo “Clima: è vera emergenza” (Brioschi Editore) l’economista Nicholas Stern, della London School of Economics, già capo economista della Banca Mondiale, afferma che l’impatto del carbonio sull’atmosfera sembra peggiore di quello stimato fino a solo due o tre anni fa. Oggi le probabilità che le temperature medie della Terra aumentino di 5 gradi entro il 2050 sono del 50%. L’ultima volta che la Terra è stata così calda fu nell’Eocene. Se questo dovesse verificarsi sarebbero pressoché inevitabili la distruzione di una grossa fetta della superficie arabile del mondo e il conseguente inizio di migrazioni da parte di centinaia di milioni di persone.
A parere dello scienziato inglese l’incontro di Copenaghen di dicembre può trasformarsi nell’incontro internazionale più importante dalla fine della seconda guerra mondiale.
I Paesi sviluppati, dove vive circa un abitante della Terra ogni sei (sarà uno su dieci nel 2050) da soli rappresentano attualmente il 70% delle emissioni accumulate dal 1950 ad oggi. In futuro però la maggior parte delle emissioni verrà dai cosiddetti Paesi in via di sviluppo che tuttavia obiettano che i responsabili fino ad oggi dell’effetto serra sono i Paesi industrializzati e pertanto è giusto che siano questi a doverne sostenere i costi in base al vecchio principio del “chi inquina paga” ed aggiungono che avendo bisogno di uscire dalla soglia di povertà al momento per loro è impossibile rinunciare a bruciare combustibili fossili o a tagliare le foreste salvo ottenere aiuti economici da parte proprio dei Paesi più industrializzati.
Attualmente i due Paesi responsabili della maggior produzione di emissioni di CO2 sono Cina e Stati Uniti ( da soli ne producono quasi la metà delle complessive), e molto dipenderà dunque anche dalle strategie che questi ultimi adotteranno e che però, in un periodo di recessione come quello che stiamo affrontando non nascondono le loro grosse perplessità in merito a possibili riduzioni delle emissioni di CO2.
In particolare gli USA temono che adeguandosi alle scelte degli altri paesi industrializzati alla fine possano offrire grossi vantaggi economici a India e Cina.
Intanto l’Unione Europea, che si era già data i seguenti obiettivi entro il 2020:
- 20% di Energia Rinnovabile
- 30% di riduzione delle emissioni di gas serra ( se gli USA faranno lo stesso altrimenti si fermeranno al 20%)
- 20% l’aumento dell’efficienza energetica
nello scorso mese di ottobre ha raggiunto un nuovo accordo che prevede entro il 2050 un’ulteriore riduzione delle proprie emissioni pari al 80-95% rispetto a quelle prodotte nel 1990.
In questo contesto l’Italia, avendo esaurito il tetto assegnatole dal Protocollo di Kyoto, per aprire nuovi impianti energetici dovrebbe pagare un miliardo di euro. “Questi soldi - ha osservato il nostro Ministro per l’Ambiente Prestigiacomo - paradossalmente andrebbero a Paesi come la Polonia che sono meno virtuosi di noi”.
Insomma, lo scenario che aprirà l’incontro di Copenaghen, appare estremamente complesso.
Il problema principale è che l’atmosfera terrestre non consente di seguire i tempi e le abituali regole del compromesso politico ed un ulteriore rinvio di certe scelte potrebbe risultare davvero pericoloso.
Già oggi un innalzamento di un solo grado della temperatura ed il conseguente ulteriore scioglimento delle calotte polari causerebbe un gravissimo danno per le terre coltivabili del Bangladesh e negli altri Paesi situati al livello del mare.
Michele Salvadori
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