Lo sciopero della fame di Pannella? Sceneggiata per il consenso elettorale

Creato il 04 gennaio 2013 da Uccronline

Il mese scorso Marco Pannella è riuscito a strappare un plauso a molti italiani per la sua sceneggiata sullo sciopero della fame e della sete a causa delle condizioni carcerarie, l’amnistia e la giustizia. Lo scopo è certamente nobile e legittimo, ma il metodo è evidentemente contrario alla democrazia, sopratutto se realizzato da soggetti politici con a disposizione tutti gli strumenti mediatici adeguati (pagati dai cittadini) per attirare l’attenzione pubblica.

Come ha correttamente spiegato Sergio Romano, si tratta per la precisione di una indebita strumentalizzazione sentimentale, un abuso di forme di protesta dei “non violenti”, come Gandhi, ma realizzato da persone che ricevono 10 milioni all’anno per la loro radio di partito, per non parlare delle somme considerevoli «di alti vantaggi, fra cui quello della rappresentanza politica». Pannella trasforma la politica interna in un campo di battaglia ogni volta che «minaccia di usare il proprio corpo come un’arma letale e si dichiara pronto a morire pur di raggiungere il suo scopo. Se la politica democratica è lotta senza spargimento di sangue, questa, spiace dirlo, non è più democrazia».

L’ex tesoriere dei Radicali, Danilo Quinto, ne ha parlato sulla Nuova Bussola Quotidiana (finalmente ha riaperto, auguri da tutti noi!), spiegando che «l’obiettivo dell’azione di Pannella» è «quella che lui chiama una “riparazione”, in termini di spazi televisivi, che gli assicuri il consenso elettorale. Un’esigenza inderogabile in questa fase, perché il Partito Democratico, che ha “ospitato” i radicali nel 2008, questa volta gli ha chiuso le porte e non si profilano all’orizzonte, almeno per ora, possibilità di “peripezie” che gli consentano di allearsi con l’altra parte dello schieramento».

I giornali parlano poco delle pessime condizioni dei detenuti, ma solo di Pannella, del suo “corpo” ridotto a 72 chili, che per i medici rischia la dialisi e danni irreparabili. L’ex tesoriere, vicino a Pannella per diversi anni, prosegue: «il suo corpo si fa speranza, diventa così un “mito” ed anche il mezzo “tecnico” che si immola per raggiungere l’obiettivo, il fine. L’azione ha in se stessa contenuti ricattatori. La “controparte” non si può sottrarre. Accorre, infatti, o cinguetta con lui attraverso twitter, raggiungendo risultati sbalorditivi di milioni di contatti. Gli accorrenti o cinguettanti si dimenano nell’esprimere solidarietà e condivisione, spesso accettano la “seduzione”. “Giocano di sponda” con quel corpo che si priva di acqua e cibo, che annuncia di aver dovuto mangiare caramelle o mandarini per poter parlare. Ne tessono le lodi, lo invitano a “riprendere” vita. Se ne fanno carico. Il corpo, dal canto suo, si nutre delle dichiarazioni e delle visite, delle pagine dei giornali e degli spazi televisivi dedicati, della posizione nella scaletta delle notizie destinati a propagandare il sequel. Pannella diventa il “centro” di tutta la scena. Crea il suo “mito”, quello di un uomo che si batte per gli altri, per i sofferenti, per il “prossimo”, con quel suo anelito, sempre più evidente, di saccheggiare, con il suo linguaggio e le sue parole, i contenuti del cristianesimo per i suoi fini mondani. Afferma la sua alterità rispetto a quel “regime partitocratico” che disprezza, ma che nello stesso tempo frequenta chiuso in una camera di una clinica privata (mica pubblica, per carità)».

Il martire volontario Pannella davanti alle telecamere gioca dunque ad immolarsi per i diritti degli altri (a scopo di ricevere consenso elettorale), contemporaneamente però viene costretto dalla Corte d’Appello di Roma a versare ad una collaboratrice, Giuseppina Torielli, 250 mila euro perché è stata pagata in nero (la donna ha 81 anni ed è senza contributi) dal cosiddetto “paladino italiano dei diritti umani” (solo in televisione però).

Guarda caso, la sceneggiata di Pannella sullo sciopero della fame segue le dichiarazioni di Emma Bonino, la quale ha pubblicamente escluso la sua candidatura in parlamento poiché il partito radicale rischia di infrangersi sulla soglia del 4%.  In un attimo di lucidità ha affermato: «Trovo scontato, ripetitivo, fuori contesto la presentazione di una Lista Bonino-Pannella. E trovo altrettanto scontato che dovessi essere candidata sempre, a qualunque cosa, in qualunque contesto», ricordiamo infatti che la Bonino è un cosiddetto ”dinosauro della politica”, mantenuta da vent’anni dai contribuenti. «Non ritengo né indispensabile né automatica una candidatura. Posso anche inventarmi altro», ha dichiarato. Già, chissà quale altro hobby si inventerà.

Ma come mai i radicali non riescono nemmeno a raccogliere le 160 mila firme necessarie per presentarsi al parlamento? La Bonino risponde:  «Vedo il rischio di una ennesima riproposizione di una offerta, quella radicale, sulla quale non so neppure se ci sia una domanda. Se una domanda c’è, chiedo che si espliciti, che si faccia viva. Ad oggi, con tutte le nostre battaglie, e anche con i nostri risultati, continuiamo ad essere 1200 iscritti in tutta Italia». In poche parole: checché ne dica Staderini, nessuno si sente rappresentato dalle inutili attività dei Radicali.

Salvatore Abruzze, sociologo della religione all’Università di Trento,  ha risposto in modo più approfondito evidenziando il fallimento dei Radicali nel loro progetto sociale di creare un’Italia laica (cioè laicista), che ha prodotto non soggetti mossi da partecipazione e responsabilità ma «narcisisticamente piegati sul proprio interesse personale ed altrettanto indifferenti a qualsiasi destino collettivo». Invece, ha continuato il sociologo, «affinché i margini di libertà si convertano in progetti di vita, dei quali la partecipazione politica è solo uno degli aspetti, occorre che sia riconosciuta e legittimata una tensione dell’uomo verso l’infinito. Occorre che, da qualche parte, esistano un Vero ed un Bene, non relativi. Occorre che ci sia una natura umana da coltivare che non sia riducibile ad una semplice costruzione mentale, magari socialmente condivisa. Relativizzare tutto, ridurre la realtà al privato quotidiano, ritenere che tutto si chiuda nel perimetro della propria esistenza personale, sono le basi per qualsiasi dimissione, anche dalla politica».


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