In questi tempi di emersione dello sfruttamento delle donne da parte della politica, le donne giocano mediaticamente due ruoli.
Il primo è quello di cui tanto si è parlato: le vergini che si offrono al drago, il ciarpame senza pudore, le schiave radiose. È il ruolo della donna gingill dell’uomo potente che, proprio perché potente, ha la villa, il conto all’estero, il jet privato, e le donne. In questo contesto le donne sono ridotte a oggetto tra gli oggetti, parte di un kit degli status symbol del potere. Questo un ruolo è passivo.
Il secondo ruolo delle donne è speculare al primo ma, se si casca nel giochetto, lo si può prendere per un ruolo attivo. Si dice: ognuno vada a letto e con chi gli pare, il problema c’è se questo diventa il criterio di selezione per la carriera politica. Verissimo. Ma a partire da questo ragionamento si è diffuso un sentimento di rancore per le donne che di questo ingranaggio fanno parte. Dalle manifestazioni di dissenso contro Nicole Minetti, anche interne al PdL, alle manifestazioni popolari contro Ruby, l’astio verso le donne che fanno parte di questo sistema sta montando. Mostrando come non si sia capito – né si sia voluto far capire – come sono ripartite le responsabilità in questa vicenda.
I due ruoli giocati dalle donne sono speculari. Il sistema di potere italiano, nella sua arretratezza culturale e nella sua mancanza di politica, assorbe solo donne disposte ad assumere ruoli passivi. Nessuno è contento di pagare lo stipendio alla Minetti ma prendersela con lei è il sintomo di non aver capito nulla del sistema di potere che l’ha prodotta, proposta, messa in carica, che la supera e di cui lei è solo una temporanea manifestazione.
Da qui la strada è spianata per fare, appunto, i “Cavalieri”, e difendere pubblicamente le donne “perseguitate”. «Tutte queste ragazze non possono più lavorare, non possono fare una sfilata, nessuno offre loro un contratto. Per questo andrò in tivù, per spiegare questo, per difendermi e difendere quelle ragazze», dice Berlusconi. Lo sentite l’imprenditore? Lo sentite come si preoccupa della carriera delle ragazze, poverine? La rabbia verso le ragazze monta e il gioco di prestigio è fatto. Non si parla più dei reclutatori, ma delle reclutate, non degli sfruttatori ma delle sfruttate. Davvero: lo sentite l’imprenditore?
Non si vuole negare la responsabilità individuale di ciascuna, ma trovare un punto politico. Il dissenso, il conflitto, dovrebbero essere centrati non sulle donne che in quell’ingranaggio si ritrovano ma sul sistema di potere che le produce prima, e le assorbe poi.
Se non facciamo di questo il punto di partenza, temo che ci ritroveremo in una misogina caccia alle streghe orchestrata dall’Imprenditore Finale. Che sa bene che la colpevolizzazione delle donne equivale all’innocenza, sua e del sistema di connivenze maschili che lo circonda e lo incorona.