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Lo sfogo del giovedì mattina

Da Marce982

 

Lo sfogo del giovedì mattina

foto:flickr

Una sottospecie di lettera aperta, senza arte né parte, ma con il cuore in mano.

Non sono un appassionato spettatore di Colorado, però, quando c’è l’Incazzatore, devo ammettere che un po’ mi diverto. Oggi prendo spunto da lui ed esordisco dicendo che «Maggia sfugà ‘ncoppa a sta cosa, nun me ne fotte proprio!»

Come ogni mattina, o quasi, ricevo e leggo diverse mail colme di offerte di lavoro che promettono di cambiarti la vita (professionale). Ormai le osservo da più di un anno e mezzo e mi sono reso conto di una cosa: sono una grande bufala. Sì, perché le offerte che ci sono lì dentro sono gli scarti, gli avanzi, i resti decomposti dei lavori veri. Non ci sono lavori in linea con il mio profilo e nel 90% dei casi (cifra buttata lì, a caso) cercano agenti di commercio, pagati a provvigione e pertanto senza alcun costo per dell’azienda che “assume”, lo metto tra virgolette perché in realtà non c’è una vera e propria assunzione, visto che ti chiedono l’apertura di una partita iva, con annessi e connessi.

Ma non è soltanto questo.

Quello che più mi manda in bestia è leggere le offerte relative agli stage o a tutte quelle forme di lavoro prestato a titolo gratuito. Ormai non si legge altro. Tutti offrono lavoro, ma non pagano. Ma una volta, quelli non pagati non si chiamavano volontari? Allora perché spacciarlo per lavoro? Non è un lavoro è soltanto sfruttamento. Uno sfruttamento ancora più grave perché avallato dallo Stato che con le sue leggi infami ha disintegrato il mercato del lavoro permettendo alle aziende di svuotare di senso il termine professione, che prevederebbe una retribuzione, trasformandolo in una parola jolly, che per lo più designa una persona che lavora, sì, ma anche senza percepire un centesimo.

Molti ti rispondono che «c’è la crisi». È vero, c’è la crisi, ma allora perché chiedere a qualcuno di lavorare? Se in azienda nasce l’esigenza che qualcuno ricopra un ruolo, che svolga una funzione, significa che, dall’altra parte, c’è una domanda che richiede un maggiore sforzo in termini di ore lavorative e, se c’è questa richiesta, vuol dire che l’azienda, grazie a quel lavoro – gratuito – guadagnerà del denaro. Quale dovrebbe essere la ragione per cui io dovrei donare lil mio tempo e le mie competenze a un’azienda, facendole guadagnare dei soldi, senza averne nulla in cambio, se non la “gloria”?

Abbiamo parlato di lavoro o di volontariato?

A me, pare che quello che offrano in molti non sia un lavoro, ma un impiego da volontario, perché solamente in quel caso l’unica gratificazione nasce dalla soddisfazione di avere aiutato il prossimo, anche con un piccolo gesto come può essere la donazione del sangue. Io sono un donatore, non uno dei più assidui, ma pur sempre un “volontario del sangue”. Devo ammettere che ci resterei parecchio male, mi arrabbierei e smetterei di donare se scoprissi che l’associazione a cui mi rivolgo, in realtà il sangue lo vende al migliore offerente. Voi, no?

Ecco, i lavori che mi sono trovato davanti agli occhi in questi anni seguono proprio questo principio: tu mi offri la tua prestazione, io non ti pago un centesimo e mi arricchisco alle tue spalle, in barba alla «crisi» e al tuo futuro, perché tanto non sei figlio mio e non me ne frega una benemerito di quello che ti succederà.

Allora ho capito una cosa. L’ho capita sulla mia pelle. Hanno ragione i sociologi, ha ragione Coleman, se non hai una rete di conoscenze estesa non riuscirai a perseguire i tuoi scopi con successo, perché, soprattutto in tempi di crisi – come quelli che stiamo vivendo – nessuno si prende la responsabilità di fidarsi degli altri e il lavoro è uno dei campi in cui la fiducia è molto importante, perché bisogna conoscere la persona che hai di fronte per essere certo che assumerla non rappresenti un rischio per te e la tua azienda. Questo è un modello che non mi piace, perché mette da parte le competenze e il merito e premia soltanto l’appartenenza. Ma è il modello attuale e con esso bisogna fare i conti, se si vuole riuscire a trovare uno sbocco.

Così, ho deciso di cancellarmi da tutti i motori di “ricerca lavoro”, perché credo che non siano altro che specchietti per le allodole, portali in cui non si fa altro che portare avanti un canone di vita che vorrebbe vedere tutti incatenati, sottomessi, perché la sottomissione è la via maestra per il consenso totale e questo è la via per un potere duraturo e il potere fa gola a molti (e logora chi non ce l’ha).

Io sono uno scrittore e sono un giornalista e, per certi versi, sono anche un sociologo. Di queste tre cose, soltanto una al momento mi permette di guadagnare qualcosa, non abbastanza e non regolarmente, e mi sono cercato i contatti da solo, basando tutto sulle mie forze, altro che agenzie del lavoro! Il mio mestiere è scrivere e lo faccio sotto molte forme, perché volere vivere di scrittura significa fare almeno 3-4 mestieri, sempre che uno non sia un genio della letteratura e non venda un milione di copie ogni volta che starnutisce.

Questa è una realtà con la quale bisogna fare i conti: l’Italia non è certo il Paese delle opportunità. Bisogna tirare a campare, cercare di barcamenarsi tra micro lavori mal pagati e sperare che le cose cambino, rodersi il fegato perché ci governano degli incapaci e rendersi conto che tutto il mondo è paese, perché non esistono più le isole felici, quello che una volta era l’America, oggi non esiste più, andare all’estero non serve e poi perché dovrei essere invitato ad andarmene visto che io sono italiano? Questo è il mio Paese, la mia Patria (anche se a molti vengono le vesciche sulla lingua soltanto provando a pronunciare questa parola), se il Governo non è in grado di migliorare la situazione è soltanto colpa sua, che lasci il posto a qualcuno più capace e se quest’ultimo non sarà in grado, allora lasci il posto a un altro, ancora più capace. Se questa classe dirigente che ci portiamo sulle spalle da 16 anni (SEDICI!) non è in grado di governare, che si faccia da parte, che lasci il posto a una generazione di giovani che possa veramente far cambiare rotta al Paese.

Io francamente sono stanco, sono stanco delle beghe interne ai partiti (che cambiano, benché le facce restino sempre le stesse) e del loro continuo ciarlare senza andare da nessuna parte. Credo che io, che tutti noi italiani ci meritiamo qualcosa di meglio, qualcuno che abbia la capacità di immaginare un domani migliore, un Paese migliore: un posto in cui se studi e dimostri di essere intelligente vieni ricompensato e in cui non venga premiata la mediocrità; un posto in cui la ricerca scientifica e la cultura non siano considerate un costo, ma un investimento necessario e improrogabile per il futuro; un posto in cui se lavori vieni retribuito in proporzione adeguata al costo della vita e al tuo impegno e in cui venga punita l’inefficienza; un posto in cui il futuro non sia una macchia nera indefinita, che fa paura, una prospettiva a cui guardare con speranza; un posto in cui i reati vengono puniti severamente e con criteri di giustizia, a prescindere da chi li abbia compiuti; un posto in cui la stampa non debba essere considerata vassalla del potere, ma che sia in grado di alzare la voce e gettare luce sui fatti più controversi, senza temere censure e ritorsioni e raccontare la realtà per quella che è, senza distorsioni di regime; un posto in cui non debbano essere i comici a governare e sempre i comici a fare opposizione. Insomma, un Paese vero.

 

 


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