Ai poteri forti non importa nulla dei messaggi di pace e concorida della pasqua: i rom accampati fuori dalla basilica di San Paolo per proteggersi dal freddo e dalla pioggia di questo strascico di inverno sono stati cacciati dalle autorità ecclesiastiche che hanno ben volentieri abbracciato la linea dura di Alemanno. Secondo la prassi di governo era stata loro offerta una mancetta perché evaporassero: elemosina senza misericordia al posto della solidarietà.
Sempre a Roma sono comparsi dei manifesti che irridono alla Resistenza e alla Liberazione. L’immagine di un camion con sopra una squadraccia fascista è sormontata dalla scritta 25 aprile. Buona pasquetta. Il manifesto è firmato con tre fasci littori.
E l’1 maggio non è più la festa dei lavoratori: è diventata secondo le nuove tradizioni di una strana modernità, la convention dello shopping, quindi negozi aperti anche per favorire i consumi apostolici e romani dei pellegrini che arrivano per la beatificazione.
La cifra della barbarie contemporanea è quella dell’impoverimento dei vincoli di coesione sociale e, in sostanza, della democrazia.
Mentre tra i potenti si “rappresenta” l’adesione dichiarata alla democrazia, cresce lo scetticismo presso coloro che ne sono l’oggetto.
Per secoli democrazia è stata la parola d’ordine degli esclusi dal potere per contrastare l’autocrazia dei potenti, ora è diventata la loro maschera ostentata che riveste la supremazia e l’autoritarismo. E presso i cittadini c’è forse una rimozione, un fastidio, un “lasciateci stare, abbiamo altro cui pensare” rivolto agli elogi interessati alla democrazia, che sulla bocca dei “regimi” suonano come sostegno al servizio del potere e in quella dei deboli come illusorie e caritatevoli menzogne.
È su questo che dobbiamo lavorare: il fastidio nel confronti del potere che accomuna tutta la classe dirigente, che tanto “sono tutti uguali”, ci dimostra che la democrazia ha perso di valore, che si guarda ad essa come una vuota rappresentazione o l’occultamento di un sistema oligarchico dal quale siamo esclusi.
La barbarie dei nostri giorni è stata subdola: il premier gode di un consenso considerevole anche se non maggioritario, perché ha offerto una risposta apparentemente convincente all’interrogativo sul ruolo dell’Italia nel mondo moderno. Una risposta che si fondava sulle pratiche e sulla cultura del neoliberismo, dedite all’accumulazione delle ricchezza e alla celebrazione di usi e rituali individuali e famigliari, estranee e ostili al senso di responsabilità collettiva.
La crisi mondiale, l’irruzione di fermenti, la caduta di regimi amici del nostro regime, hanno tolto il velo a questa visione arcaica e inadeguata, mostrando la slealtà verso il Paese e il disonore di una cattiva politica che ci hanno condannato ad un ritardo incolmabile, all’esclusione dalle prospettive di uno sviluppo equilibrato, all’emarginazione dall’innovazione, alla cancellazione di diritti e conquiste sociali.
E che vuole anche recidere legami sociali, non ultimo quello con un passato che parla di riscatto e di dignità di popolo, di ribellione e di ritrovarsi insieme davanti ad un futuro difficile ma del quale essere protagonisti ed amici, già cominciato un 25 aprile di tanti anni fa. Non facciamocelo portare via.
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