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Quando a Novembre B. fu' costretto alle dimissioni molti tirarono un sospiro di sollievo, per le piu' disparate ragioni; tra di queste, la perdita' di credibilita' che il nostro paese aveva dovuto sopportare, a carissimo prezzo. Monti era stato appena nominato senatore a vita, e sembrava una scelta "tecnica" ragionevole per tanti , compreso il sottoscritto. La fiducia di cui godeva da parte dei mercati era una potente arma di contrasto per gli interessi sul nostro debito pubblico, ed il fatto di essere considerato una sorta di "ultima spiaggia" lo poneva in una condizione di forza nei confronti del parlamento; finalmente,avevamo un leader non ricattabile. Il cambio, anche di stile ,diede immediatamente la sensazione di un esecutivo pragmatico e conscio delle problematiche del paese. Il discorso per la richiesta di fiducia, conteneva in se' una formula che diede speranza: sacrifici si, ma improntati "all'equita'". Seguirono una serie di esternazioni, spesso in stile accademico, su liberalizzazioni, patrimoniale, inefficenze e sprechi della pubblica amministrazione, sostenibilita' del sistema pensionistico, necessita' della crescita, e l'impellenza di reperire fondi per dare forza e credibilita' all'azione del governo. Il 4 dicembre Monti emana il decreto cosidetto "salva-Italia" dettato dalla contingenza e dalla necessita' di mettere un freno allo spread dando un segnale chiaro ai mercati. L'aumento delle accise sui carburanti gli consente di mettere a bilancio oltre 2 miliardi di euro annui, ma presenta due limiti: aumenta l'inflazione, visto che riguarda tutte le merci; e colpisce a pioggia, gravando quindi di piu' sulle classi meno abbienti. Introduce poi la riforma delle pensioni che sposta in avanti le lancette per l'uscita dal lavoro di milioni di persone; e' un provvedimento che contiene criteri di logica, visto l'aumento delle aspettative di vita, ma non tocca le oltre centomila pensioni d'oro (superiori a diecimila euro mensili), e non intacca le scandalose regalie previdenziali di parlamentari e affini. Provoca inoltre un effetto secondario di cui l'esecutivo non si accorge, i cosidetti "esodati", questione ad oggi non ancora risolta. Tocca ora alla casa, con il varo dell'imu, e l'aumento delle rendite catastali. E' una sorta di patrimoniale, che tocca la prima casa, e batte forte sulle altre; lascia esenti tutti gli immobili della chiesa e quelli delle fondazioni bancarie. Questo inizio mostra una serie di incongruenze e molte iniquita', ma e' realizzato in tempi brevissimi, ed un default dell'Italia avrebbe conseguenze ben piu' pesanti sui cittadini. Appare anche chiaro che le molte istanze per l'eliminazione dei privilegi, e per una lotta radicale alla corruzione, sono destinate a fallire. Puo' un parlamento di membri scelti nelle segreterie di partito, approvare misure autolesioniste, che favoriscano l'eplodere di una nuova tangentopoli? Monti, in questo senso, va' assolto. Non puo' rischiare di gettare il paese in balia della speculazione internazionale, l'Italia non reggerebbe. Per quanto la sua azione non sia improntata all'equita' promessa, fino a qui, e' da sostenere, anche perche' ci si aspetta misure che riequilibrino il tutto. Ma quando si deve passare dalle parole ai fatti, in questo caso, trova una resistenza che lo piega. Rinuncia a cancellare i privilegi fiscali della chiesa e delle banche; rinuncia a tassare i capitali scudati, rinuncia alle liberalizzazioni, piu' volte sbandierate. Alcune inizitive estemporanee non cambiano il proliferare dell'evasione, che rimane a livelli altissimi, soprattutto nelle fasce di reddito piu' alte. Mentre il paese arranca, la disoccupazione esplode, i piccoli artigiani si suicidono, ampie fasce di cittadini mantengono le loro rendite di posizione, al riparo dalla concorrenza e, parzialmente, dalla crisi. Monti e' stato commissario europeo all'antitrust, sa' perfettamente che il libero mercato genera opportunita' altrimente precluse, e che questo puo' aiutare la crescita del pil e dell'occupazione. Cio ' nonostante, prima tentenna, e poi abbandona la lotta. Non sappiamo se per paura di un voto contrario, o se per scarsa convinzione; sta' di fatto, che pare dimenticare quanto i partiti abbiano bisogno di lui per giustificare di fronte al paese, i provvedimenti che si stanno adottando. Il tecnico, e' diventato un politico , che agisce come referente di alcune categorie e non di altre, incurante dell'interesse generale; ormai e' utile solo alla partitocrazia.Questo e' l'esatto spartiacque in cui l'azione dell'esecutivo si rivela sterile, incapace anche solo di scalfire le questioni che rendono l'Italia ingestibile a medio e lungo termine. Monti ha alle spalle una carriera invidiabile, una stima unanime; eppure, non trova il coraggio di rischiare una strada diversa, che metta il parlamento con le spalle al muro. Piu' passa il tempo, piu' si avvicinano le elezioni, piu' lo spauracchio delle dimissioni non puo' essere usato. La sua azione si sposta allora sulla diplomazia internazionale, alla ricerca di accordi che pongano il paese al riparo dagli attacchi speculativi. La spending rewiew di questi giorni e' un palliativo, come l'eliminazione di meta' delle province; provvedimenti tampone, lontanissimi dalla cura schock che servirebbe a una nazione che sembra incapace di reagire. Propone una vendita di beni pubblici per aggredire il debito, dimenticando che lo stato non ha mai saputo valorizzare il suo patrimonio, e che le precedenti privatizzazioni sono state all'insegna delle speculazioni e dei saccheggi. Dimentica anche che il patrimonio delle concessioni pubbliche e' appaltato a prezzi di saldo, e che i grandi monopoli di autostrade, giochi d'azzardo, frequenze tv, sono stati assegnati senza mai essere oggetto di asta. La sua credibilita' finisce qui, perche' e' inaccettabile che un economista cosi' esperto, ignori nell'amministrare il paese le semplici regole di mercato che ha seguito per tutta la vita. Ma queste restano tutte considerazioni inutili; lo spartiacque, e' gia passato.
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