Come facciamo a pensare?
Secondo la scienza cognitiva, la nostra mente non è affatto una tabula rasa, ma nemmeno quel deposito illimitato di informazioni che tanti filosofi di scuola idealista avevano immaginato che fosse. Si tratta invece di un sistema aperto a compartimenti stagni. Cosa vuol dire? Spieghiamolo subito. La nostra mente sarebbe un elaboratore di informazioni, proprio come una calcolatrice o un processore di computer, ma molto più complesso. Il sistema seleziona i dati in entrata - input - e quelli in uscita - output - secondo alcuni parametri che hanno come fine il corretto funzionamento dei processi cerebrali. Naturalmente, una volta che il dato esterno viene assorbito, subirà un’elaborazione graduale che lo porterà, dopo la fase di output, a produrre una serie di conseguenza diversificate che vanno dal comportamento vero e proprio a delle semplici concettualizzazioni. Come? Vediamolo insieme.Semplificando al massimo, possiamo dire che i momenti più importanti della processazione dei dati sono due, ovvero il filtro e il canale a capacità limitata. Cominciamo dal primo.
Ecco il diagramma di Broadbent. Da questo
schema si ritrae tutto il percorso del dato informativo,
a partire dai sensi fino alla messa in atto delle nostre risposte
Il filtro. In accordo con quanto dice la Gestalt - cit. il ns. articolo “Il vaso di Rubin” -, la nostra mente effettua un’attività di filtraggio già a partire dalle sensazioni stesse, scegliendo quella “parte del tutto” che può servirle per elaborare delle immagini ben definite, dei suoni precisi, degli odori ecc. Dopo di che, i dati “salvati” vengono nuovamente filtrati ad un livello di elaborazione superiore, fino a selezionare solo quelli più importanti. I dati che superano anche questo passaggio sono inviati a quella grossa riserva che è la memoria a lungo termine, da cui potremo attingere in tutto il corso della nostra vita. Quando il filtro si chiude, invece, impedisce l’accesso a tutta una serie di dati e di input che non avrebbe alcun senso conservare, e li rimanda ad una scatola più piccola, un vero e proprio “cestino” dove si fermano per quel tanto che ci serve e poi svaniscono: è la memoria a breve termine. Questa distinzione fra le “memorie” è veramente importante: pensate che cosa accadrebbe se, davanti a uno scaffale del supermercato, tutti i dati visivi dei prodotti e dei prezzi non defluissero rapidamente dalla nostra mente dopo essere stati selezionati! Probabilmente, alla chiusura del negozio saremmo ancora lì con il nostro carrello, incapaci di scegliere tra fusilli e spaghetti.
Come ve la ricordate meglio, questa cifra?
Memorizzandola tutta intera, o
suddividendola in tanti blocchi minori?
Il cognitivista G.A. Miller, in un articolo molto famoso dal titolo “Il magico numero sette, più o meno due”, ha dimostrato che il limite numerico di blocchi informativi che il canale a capacità limitata riesce a gestire è di sette unità informative. Cioè, in pratica, si riuscirebbe a ricordare senza sforzo fino a sette blocchi numerici, dopo di che si comincia a faticare seriamente. Un indizio? Pensate un attimo ai vostri numeri telefonici: riuscireste a ricordarli così bene senza dividerli in blocchi di due, tre numeri alla volta? Sarebbe come voler ingoiare una bistecca intera, senza prima masticare! Provate un po’ voi…