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Lo specchio di una società non omogenea

Creato il 20 marzo 2014 da Gadilu

specchio

Chissà se la nuova formula introdotta per svolgere i test di accertamento linguistico, praticata soltanto da tre mesi, porterà a un miglioramento. Intanto, i dati Astat che documentano le percentuali di successo nell’esame di bi- e trilinguismo per il 2013 continuano a rimanere piuttosto basse. L’anno scorso soltanto il 26,2 per cento dei candidati è riuscito a superare lo scoglio del patentino B. Poco meglio il risultato del C, fissato al 37,5 per cento. Sopra la media (comunque inferiore al 50 per cento) le due altre due categorie, l’A e il D, rispettivamente con il 61,6 e il 73,5 per cento.

Al di là delle considerazioni realizzabili in base a una prima veloce analisi – ma, come si accennava, bisogna tener conto che il cambiamento della formula, più variegata della precedente, potrebbe forse alterare questa tendenza – c’è da dire che il patentino continua a rappresentare un vero e proprio spauracchio per altoatesini e sudtirolesi. La dimostrazione sta nell’elevato coefficiente di successo registrato nelle prove equipollenti, quelle compiute presso gli enti riconosciuti mediante l’apposita norma di attuazione dello Statuto di autonomia approvata con il Decreto Legislativo n. 86 del maggio 2010. Solo per limitarci all’esempio più eclatante, il livello B, proibitivo per gli aspiranti al patentino “tradizionale”, in questo caso fa registrare ben il 97,6% dei promossi. Una ragione per chiedersi se, nonostante l’aggiornamento delle modalità con le quali viene svolto, non sia proprio la struttura profonda dell’esame a costituire il problema maggiore.

Quali sarebbero, insomma, i meccanismi inibitori del successo generati da questa struttura? Me ne vengono in mente due. Innanzitutto, il fatto di rappresentare un’occasione isolata di confronto, staccata cioè da qualsiasi percorso relazionale capace di accompagnare e costituire una preparazione ben più significativa alla prova. Secondariamente, lo spettro troppo ampio della motivazione con la quale i candidati si presentano agli esami: si va da chi tenta tanto per fare, quindi apportando un minimo impegno, a chi invece ha bisogno del diploma per ottenere o confermare un lavoro, e perciò si carica della massima, e dannosa, tensione possibile.

Alla fine ad essere misurate non sono così tanto le competenze linguistiche, ma piuttosto la generica facoltà a superare un ostacolo che, proprio per questo, s’intende come qualcosa di cui ci si vuole soltanto liberare. Per molte persone, specie di madrelingua italiana, l’acquisizione del “pezzo di carta” segna psicologicamente persino il definitivo congedo dal proposito di migliorare, e soprattutto esercitare, la lingua dell’altro. Non stupisce inoltre che la percentuale dei promossi cali con l’avanzare dell’età o sia inferiore nelle zone dove la presenza di un gruppo linguistico è largamente dominante (con l’eccezione delle valli ladine, ovviamente). Nonostante tutti i progressi nel campo della convivenza fin qui realizzati, segno di una società ancora contraddistinta da un plurilinguismo non omogeneo.

Corriere dell’Alto Adige, 20 marzo 2014


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