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Sono passati tre anni da quando Harry Hole è andato via da Oslo, dalla Centrale di Polizia, via dalla donna che ha amato e ferito troppo, e troppe volte. Oleg, il figlio di Rakel, il ragazzo che Harry ha cresciuto come se fosse figlio suo, è in carcere con l'accusa di aver assassinato il suo migliore amico, Gusto Hanssen. Il movente, secondo gli investigatori è un regolamento di conti nel mondo della droga. Ma Harry naturalmente non ci crede. Oleg, il suo Oleg che da bambino lo teneva per mano e lo chiamava papà, può essere diventato un tossicodipendente, ma non certo un assassino. Ad Harry non resta che correre a casa, correre contro il tempo, in cerca di una verità diversa da quella che è stata decretata.
Non c'è trippa per gatti: in questo periodo pochi film meritevoli di attenzione e recensione, quindi è opportuno spostarsi sulla letteratura, che decisamente propone cose più interessanti, e perturbanti. Non ultimo quest'ultima opera di NesbØ, molto interessante sotto vari profili, iperbolica e scattante come un film della serie "Agente 007", e in questo senso (come già ho avuto modo di scrivere qui e qui, e anche qui) anche un pò irritante, ma comunque sempre magistrale nell'afferrare il lettore per il bavero, senza tanti complimenti, e trascinarlo in una storia che va avanti da molti anni, una storia molto affascinante, disseminata lungo le molte pagine scritte dal nostro norvegese. "Lo Spettro" è costruito in modo più evocativo dei precedenti romanzi. Intanto il racconto è intercalato dalle parole del morto, Gusto Hanssen, ragazzo ventenne ucciso dalla mafia russa, che ci racconta con il suo slang da adolescente tossico, come si sono veramente svolti i fatti, e come Oleg, suo compagno di avventura e sventura, sia stato coinvolto in traffici più grandi di lui, suo malgrado, o meglio, per amore della sorella di Gusto, Irene. Altra figura evocativa in sommo grado, dal momento che per quasi tutto il romanzo non si vede, è semplicemente scomparsa. Sto dicendo, cioè, che il bello di quest'ultima opera di NesbØ sta nel suo essere più insaturo e aperto verso l'ignoto, a dispetto degli altri libri dell'autore norvegese, che sono invece stracolmi di sottotesti paralleli e subordinati al testo principale. Qui invece la storia è più asciutta, lineare, non si perde in rivoli salmastri, in stagni e gore narrative o birignao stilistici di cui nessuno sente il bisogno. "L'uomo di neve" (2007) aveva forse raggiunto il punto stilistico peggiore in questo senso: molto talentuoso, molto virtuosistico, si perdeva in flashback e anse discorsive inutili, per narrare una storia in verità semplicissima. "Il Leopardo" (2010) era invece una prova di titanismo letterario "giallo", totalmente inverosimile, ma che NesbØ riesce comunque a condurre in porto egregiamente, con tanto di applausi da parte del suo pubblico. "Lo spettro" rappresenta al contrario un momento di sosta introspettiva sull'adolescenza e le sue immense lagune di fragilità, che sconfinano con l'autodistruzione masochistica di stampo tossicomanico. La caratterizzazione psicologica dei personaggi è magistrale, soprattutto nel modo di rendere il racconto in prima persona di Gusto, che sembra una prosa da Beat Generation contemporanea. Leggete qui, ad esempio: "...la sera dopo, strafatti, vendemmo metà della scorta, prendemmo l'altra metà, noleggiamo un'auto e andammo a Kristiansand. Suonammo quel cazzone di Sinatra a palla, I Got Plenty of Nothing, che era vero, cazzo, non avevamo neanche la patente. Alla fine si mise a cantare anche Oleg, ma solo per coprire Sinatra e me, disse. Ridevamo e bevevamo birra calda, come ai vecchi tempi". "I vecchi tempi" sono i tempi eterni della giovinezza, quando ti possiede quella sensazione di invulnerabilità assoluta e onnipotente, accentuata dall'uso di droghe, in quegli adolescenti problematici come Gusto. "Lo spettro" è quindi un romanzo che potremmo definire senz'altro come "lirico", pur mantenendosi molto tensiogeno dalla prima riga all'ultima. Ovviamente una certa tendenza all'iperbole permane in NesbØ, soprattuto nelle sequenze di racconto in cui Harry viene ferito dal giovane killer russo Sergej, che poi fa fuori con un cavatappi (sic!). Harry Hole è un personaggio decisamente, letterariamente, "eroico". E' l'"eroe" medievale che salva la principessa dalle fauci del drago, e credo che NesbØ si renda pienamente conto di lavorare su un mitema universale come questo. Il nostro norvegese è anche un pò sornione, tuttavia: fa finta di non sapere qual'è il materiale mitico che utilizza, e ce lo vuol far passare come un personaggio nuovo, ritagliato dalla creatività dell'Autore, e senza legami con altri personaggi mai scritti. Non è così, perchè Harry (almeno in questo romanzo), ha tratti e battute alla Marlowe (come quando, dopo le brutte ferite subite da Sergej, dice a Hans Christian che gli chiede spiegazioni: "Niente, sono capitato in mano a un barbiere maldestro"), l'agilità di agente 007 flemingiano, la generosità di un eroe cortese. NesbØ è tuttavia capace di confezionare un personaggio, senza iper-estendere i sottotesti, nascondendoli ad arte vorrei dire. E il risultato è comunque eccellente: se il "barbiere" è NesbØ, allora Harry è capitato nelle mani di un barbiere tutt'altro che maldestro. Come avrete capito, suggerisco vivamente la lettura di questo libro, anche per i risvolti sociologici, che favoriscono acutamente una riflessione sulle "devianze" giovanili contemporanee, e soprattutto sui "burattinai" cui queste devianze fanno molto comodo.
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