di Pietro Terzi
RUBRICA: Opinioni ed eresie
Pubblichiamo stralci di un ampio articolo, apparso sul blog degli studenti modenesi, Piattaforma, scritto con intelligenza e acutezza di analisi. Non la solita sterile opinione sulle Pussy Riot ma una riflessione complessa, eretica ed erotica, che porta al cuore del male occidentale: autocompiacimento, impotenza intellettuale, cripto-cattolicesimo e moralismo femminista. Dall’est Europa sembra invece venire una lezione diversa.
Nell’anno in cui sono nato, il 1990, venne dato alle stampe The power of pussy, terzo album della band newyorkese Bongwater. Al di là della qualità dell’opera, vado molto fiero del fatto che questo disco figuri tra le soundtrack possibili per la mia venuta al mondo. [...] Nel video della title-track del disco, la cantante e performer Ann Magnuson ripete insistentemente, come un mantra, la parola «pussy» sopra un tappeto sonoro psichedelico fuori tempo massimo, mentre falli eretti inseguono una vagina pelosa dotata di braccia e gambe muscolose. [...] Non a caso il 31 luglio, giorni prima che si scatenasse la stampa internazionale, la Magnuson auspicava dal suo profilo twitter la liberazione delle Pussy Riot. [...] Le giovani manifestanti sono state in grado di dare risonanza mediatica all’insofferenza per il regime molto più efficacemente di altre personalità accreditate di maggior spessore e rilievo culturale, una fra tutte Anna Politkovskaja.
È a questo punto che si forma il principale nodo problematico: le Pussy Riot sono davvero punk? Rispondere a questa domanda non significa trovare la soluzione ad un quesito di tassonomia musicale. Al contrario: significa capire una volta per tutte se dietro questo fenomeno mediatico si nasconda una qualche autenticità [...]. Ammettiamo che le Pussy Riot siano davvero punk. Ebbene, come per molti altri artisti di questo macro-categoria (semplifichiamo), la ragion d’essere della formazione russa è sostanzialmente la subordinazione dell’aspetto musicale all’impellente bisogno di produrre effetti e trasformazioni nella società. [..] Gli atteggiamenti delle prime rockstar istituzionalizzate e i tecnicismi autoreferenziali del progressive rock erano visti come meri divertissement falsamente ribelli di una borghesia sotto sotto compiaciuta di sé. I primi punk, al contrario, erano iscritti alle liste di collocamento. [...]
La paura del corpo di certo femminismo nostrano è figlia di un dispositivo di controllo permeato, e non è mai una banalità affermarlo, di aberrante cattolicesimo – in poche parole, di metafisica. Quello che fanno le Pussy Riot e le attiviste del Femen è mettere da parte definitivamente la metafisica e cogliere il potenziale della metafica: nessun gioco di parole, la posta in gioco è qui la capacità di parlare della donna a partire dalla donna stessa, dal suo stesso corpo e non seguendo i dettami di un imprecisato decalogo morale.
Se dunque la vostra domanda poteva essere «perché nell’est Europa sì e in Italia no?», avete appena avuto la vostra risposta. Ma è solo una delle tante possibili. Volendo chiudere così come si è iniziato [...] è lecito pensare che il nostro problema sia il seguente: la colonna sonora della nostra prima infanzia [...] (sia stata, ndr) Lemon Tree dei Fool’s Garden, ovvero il desolante piagnucolare, impotente ma compiaciuto, dell’individuo occidentale, costretto a fissare un albero di limoni perché non ha nulla da fare o, peggio, non gli resta nient’altro da fare.
In Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister [1795], Goethe inserisce una poesia da lui composta poco dopo il suo ritorno dal primo viaggio in Italia. Inizia così: «Conosci il paese dove fioriscono i limoni? (Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn)». Il paese dei lemon trees è, ovviamente, il nostro, dove «c’è vita e animazione [...], ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida, e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé. Bello è il paese! Ma […] non è più questa l’Italia che lasciai con dolore». In breve: qui non ci sono altro che limoni, non c’è altro che un bel paesaggio. Ecco cosa accade quando il corpo fa paura: [...] che oggi tre ragazzette qualunque possano diventare eroine.
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