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Lo stato di salute del giornalismo italiano. Cosa cambia e cosa ristagna: dalle piattaforme di consultazione alla legge dell'equo compenso
Creato il 24 agosto 2012 da Saradurantini @SaraDurantiniLo stato di salute del giornalismo italiano, digitale e cartaceo, vive un momento di grande cambiamento. A cambiare sono gli attori della sfera editoriale ma anche il pubblico e il linguaggio. E se le nuove parole del giornalismo, come scrive Lewis DVorkin, parlano "alle nuove tecnologie", è il pubblico ad avere un ruolo di grande importanza proprio in quanto è lui che decide dove reperire la notizia che sta cercando.
All'interno dell'articolo, edito da Festivaljournalism, si fa riferimento all'esperto di giornalismo digitale Stijn Debrouwere, il quale fa notare "come molta parte dei servizi offerti dai giornali tradizionali ai propri lettori oggi si possano considerare, in sostanza, come assolti da strumenti ‘estranei’ al corpo giornalistico ma comunque concorrenziali, e nella maggior parte dei casi gratuiti. Alcuni esempi: l’utente interessato può consultare recensioni cinematografiche su Netflix o su IMDB, leggere commenti su un romanzo direttamente da Amazon o Anobii, evitare le critiche musicali di RollingStone puntando su Spotify".
Mutamenti, questi, riconosciuti e utilizzati dai fruitori e che determinano effetti di grande rilevanza sul giornalismo italiano (e non solo). A fronte di un'accessibilità alla notizia sempre più "gratuita" come raggiungere risultati ottimali in termini economici? Ecco che entra in gioco il monitoraggio degli effetti del giornalismo. Un quadro completo e ben argomentato viene offerto da un articolo su Lsdi in cui vengono riportate anche le idee di Jonathan Stray: "una redazione potrebbe avere un database integrato in grado di connettere ogni articolo ad indicatori sia qualitativi che quantitativi: note su cosa succede dopo la pubblicazione, commenti, link in entrata, discussioni sui social media e altre reazioni".
Ma perchè monitorare? Solo per gli inserzionisti o anche per determinare la qualità del lavoro giornalistico? E in termini di qualità del lavoro giornalistico, come scrivevo qualche settimana fa proprio su questo blog, "si può parlare di aumento o abbassamento della qualità? O forse è meglio usare la parola, in un contesto come quello appena descritto, di mutamento della qualità? Non stiamo forse assistendo al passaggio da un'informazione elargita da pochi a un tipo di informazione libera e facilmente reperibile ma le cui fonti, spesso, non presentano delle fondamenta sicure? Sia chiaro, non c'è nessuna nostalgia nei confronti dell'informazione gestita da un gruppo ristretto di persone, tuttavia non posso neppure trovarmi schierata dalla parte di coloro che, seguendo la logica della visibilità, pubblicano notizie senza curare ciò che rappresenta l'anima della notizia stessa: le fonti".
Il discorso sembra tornare sempre allo stesso punto di partenza: a fronte dei cambiamenti, anche radicali, che stanno interessando l'ecosistema informativo e a fronte delle crescenti esigenze di un pubblico che fa ricerca diventando, anch'esso, parte attiva del processo comunicativo, la figura del giornalista non solo non può e non deve rifuggere dall'attuale rivoluzione ma deve raccogliere la sfida del digitale ed essere in uno stato di continuo apprendimento .
Ma l'apprendimento continuo è possibile allo stato attuale delle cose? Inoltre le redazioni giornalistiche italiane possono e sono in grado di far fronte alla formazione "continua obbligatoria, opportuna ma costosa"? E che dire delle questioni contrattuali? E gli stage gratuiti? Secondo un dossier di Errori di Stampa vengono "stipulati contratti di collaborazione che ammontano anche a 5, 6 o 7mila euro l'anno (500 euro lordi al mese!) o pagamenti a borderò che sfiorano i 20 euro lordi a pezzo. Senza considerare che tutte le spese (telefono, benzina per gli spostamenti, connessione a internet, computer, postazione) sono interamente a carico dei cronisti. Sono freelance" scrive Errori di Stampa "ma free non può né deve essere il pagamento. Sono co.co.co o giornalisti a incarico quando il Contratto nazionale del lavoro giornalistico annovera, ad esempio, l'articolo 2 che prevede ben altre tutele e ben altri compensi".
Sicuramente a molte di queste domande si potrà rispondere in seguito agli ulteriori sviluppi sulla legge dell'equo compenso (che ad oggi ancora non soddisfa i molti, nonostante qualche piccolo risultato sia stato ottenuto). Per il momento sarebbe meglio prendere atto della situazione farraginosa nella quale ristagna il giornalismo italiano sia dal punto di vista della qualità dei contenuti (che ha le sue radici nella scelta delle risorse ma anche nella volontà di pubblicare notizie ad alto potenziale di click) sia dal punto di vista economico (approcci e strategie per coinvolgere - e far pagare- il lettore sono illustrati nell'articolo di Pier Luca Santoro Rendere il Giornalismo Digitale Sostenibile & Coinvolgimento del Lettore).
Posted in: contratti, dossier, editoria, equo compenso, Errori di Stampa, giornali, giornalismo digitale, giornalista, Jonathan Stray, legge, Lewis DVorkin, Lsdi, precari, Sara Durantini, Stijn Debrouwere, tecnologie Invia tramite email Postalo sul blog Condividi su Twitter Condividi su Facebook
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