Oltre all'impiego di misure finalizzate al tamponare le emergenze per il breve-medio termine, potrebbe forse essere necessario impiegare rinnovati strumenti con cui provare a 'squadernare positivamente' un fiacco e fallace status quo che poch(issim)e soddisfazioni sta regalando.
Ormai da troppi anni, infatti, la situazione sembra avere una fine di volta in volta posticipata, di anno in anno rimandata.
Nel mentre, purtroppo, definizioni abitualmente note come 'stato sociale' o welfare sono messe a dur(issim)a prova: è infatti lo Stato a dover tagliare, di anno in anno, il proprio livello di spesa pubblica. In maniera tanto veloce da produrre, potenzialmente, effetti tanto sottovalutati quanto impossibili da 'pesare' in poco tempo.
E' veramente così vero che le 'iniezioni' di spesa pubblica siano sbagliate a prescindere?
E' veramente così fondata la logica che ha visto imporsi l'imperativo della cosiddetta austerity come la soluzione più giusta (o meno sbagliata?) fra tutte quelle elaborate per uscire in maniera (più o meno) definitiva dall'attuale crisi economica?
Quali sono i possibili rapporti che potrebbero/dovrebbero intercorrere fra settore pubblico e settore privato per cercare di costruire una forma di ripresa economica per l'intero continente europeo, tanto vecchio quanto tardo nell'uscita consapevole da questa crisi?
E' su questa domanda di fondo che si articola l'opera "Lo Stato innovatore", scritto da Mariana Mazzucato ed edito da Laterza.
Lo scopo su cui focalizzare le attenzioni sembra essere chiaro sin dal retro di copertina:
"[...] Chi è l'imprenditore più audace, l'innovatore più prolifico? [...] Qual è il motore dinamico di settori come la green economy, le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la farmaceutica? Lo Stato. E' lo Stato, nelle economie più avanzate, a farsi carico del rischio d'investimento iniziale all'origine delle nuove tecnologie. E' lo Stato, attraverso fondi decentralizzati, a finanziare [...] lo sviluppo di nuovi prodotti fino alla commercializzazione. [...] Ma se lo Stato è il maggior innovatore, perché allora tutti i profitti provenienti da un rischio collettivo finiscono ai privati? [...]"
La questione fondamentale sembra essere, pertanto, quella di adoperarsi per ribaltare il paradigma secondo il quale lo Stato dovrebbe essere, in ordine sparso, qualcosa del tipo: fonte di spreco tanto generalizzato quanto indiscriminato, agglomerato di enti inutili da tagliare a prescindere dalla loro (in)utilità, cozzaglia di incompetenti incapaci di attribuire merito e/o visibilità a progetti tanto concreti e vincenti quanto capaci di guardare al medio-lungo termine con profitto e responsabilità sociale, [...]. Cosa potrebbe diventare, pertanto, lo Stato in un'ottica di rilevante cambiamento di prospettive? Parte della svolta potrebbe venire dal concetto sostanziale riportato nel seguito:
"[...] L'impresa privata è considerata da tutti una forza innovativa, mentre lo Stato è bollato come una forza inerziale, troppo grosso e pesante per fungere da motore dinamico. Lo scopo del libro [...] è smontare questo mito. [...]"
Il passo chiave è da articolarsi, pertanto, attraverso una presa di consapevolezza determinante da realizzarsi in primo luogo mediante il ribaltamento di convenzioni pre-costruite e precostituite. Ne sembrano convinti, brevemente, anche alcuni critici della presente opera in questione:
"Lo Stato innovatore dimostra punto per punto quanto pensare per convenienza sia ottuso." (C.Dickey - Newsweek)
La parte più fondamentale e complicata da abbattere risulta, inevitabilmente, quella di cercare di mettere in giusto rilievo quali e quanti costi, rischi e benefici possano essere inclusi nel 'conto' dei piani per definire le politiche macro-economiche per riabilitare gli investimenti al di fuori da questa crisi. Parziale testimonianza dell'impronta da fornire al contesto è definita da un'ulteriore citazione richiamata dai critici:
"Lo scopo [...] è che lo Stato e il settore privato assumano insieme i rischi della ricerca e godano insieme dei benefici." (T.Tritch - New York Times)
Prima di strutturare equilibri differenti fra pubblico e privato deve essere possibile, però, cercare di concertare metodi per invertire delle logiche consolidate a livello strutturalmente macro-economico internamente agli equilibri del Vecchio Continente.
La realtà fondamentale deve essere metodicamente articolata attraverso punti essenziali per (cercare di) trovare rimedio ai moltissimi squilibri esistenti ed ormai radicatisi in maniera strutturale. L'insieme di provvedimenti concreti, fatto anche di esempi passati a cui è possibile attingere per innescare una ripresa che sia solida e sostenibile, è da articolarsi mediante le fasi e gli spunti che seguono:
- Rapporti strutturali fra concetti di crisi ed innovazione;
- Relazioni consolidate ed eventualmente (ri)definibili fra tecnologia, innovazione e crescita;
- Capacità di far valere appieno i concetti di rischio ed inevitabile responsabilità d'impresa;
- Esempi e buone pratiche di politica, provenienti dagli Stati Uniti;
- Metodi concreti per riavviare l'economia all'insegna della rivoluzione industriale verde;
- Equilibri esistenti fra rischi e ricavi, andando ad incidere profondamente nell'ottica di definizione di ciò che è classificabile come investimento;
- Dualismo imperniato fra socializzazione dei rischi e privatizzazione dei guadagni: come può lo Stato imprenditoriale concorrere al ritagliarsi uno spazio importante per ricostruire un'area di equilibrio e sostentamento?
Solo prendendo consapevolezza ferma riguardo alla necessità di ridefinire un sistema con rinnovate logiche e/o con diversificati equilibri, forse, sarà realmente possibile inaugurare un nuovo piano di (pro)positive politiche economiche votate all'impedire il cronicizzarsi di una crisi che pare ormai aver minato (e/o compromesso definitivamente?) equilibri a qualsivoglia livello esistente: sociale, economico, ambientale, finanziario, politico, assistenziale, [...].