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I fantasmi di Bilotta
Alessandro Bilotta, con la creazione di Valter Buio, si è dovuto confrontare con un ectoplasma che, per quanto non più reale di quelli che hanno fatto capolino tra le pagine del suo fumetto, poteva apparire parecchio infido e pericoloso. Parlo del fantasma di Dylan Dog, il personaggio di Tiziano Sclavi, del quale il personaggio di Bilotta poteva apparire un clone, una copia bidimensionale e senza aggetto.
Sennonché Valter Buio si discosta profondamente dal suo antesignano, per atmosfere, vicende, situazioni e stile che lo rendono un personaggio pressoché unico nel panorama fumettistico italiano.
Valter Buio, lungi dall’essere l’alter ego o la copia di Dylan Dog, si rappresenta come la cartina al tornasole dell’investigatore dell’incubo. Potrebbe rappresentare il passato dell’indagatore dell’incubo, quello che era l’old boy di Sclavi prima di divenire il personaggio che conosciamo.
Sappiamo che Dylan, prima di trovare il suo riscatto, era stato un alcolizzato, così come Buio, tra mille bottiglie, cerca di lenire i suoi dolori esistenziali. Valter Buio è dunque il Dylan Dog prima di Dylan Dog, l’uomo sconfitto e deriso dalla vita (prima che dai suoi incubi), sofferente nella pelle scuoiata della propria umanità: l’uomo dietro la forma che plasma l’eroe.
Le vicende narrate da Bilotta non conoscono acuti imprevisti, irruzioni improvvise dell’irrazionale in una consueta quotidianità, secondo un meccanismo collaudato nelle narrazioni horror. Nella sua forma narrativa, sobria e paciosa ma capace di avviluppare, attraverso gli artigli di sottili inquietudini, l’attenzione del lettore, sta la peculiare originalità del personaggio. Uno stile quindi nettamente diverso da quello di Sclavi che nel suo primo Dylan Dog si avvaleva di rapidi colpi di scena, di inaspettate invasioni mostruose o sovrannaturali, condite da sangue e frattaglie sparse, per scuotere e far sobbalzare il lettore.
Sulle diverse notti di Sclavi e Bilotta
Ma proprio mettendo a confronto i due episodi individuiamo le differenze sostanziali di stile. In Buona notte e buona fortuna, il protagonista segue una suora in crisi di vocazione, attraversando una Roma onirica e allucinata in cui accade di tutto, come in un sogno senza fine. È la medesima ambientazione di Dopo mezzanotte di Sclavi, in cui ritroviamo Dylan Dog, lasciato fuori casa da Groucho, che percorre come in un incubo una Londra orrorifica, in una notte infinita albergata da mostri, reali o che sembrano tali, serial killer, personaggi bizzarri.
La differenza sta nel fatto che i richiami, nell’avventura di Dylan Dog, sono quelli di un certo immaginario, simboli significanti di eroico, di sublime, comunque di avventuroso, che regalano una patina aulica alla storia. Ricordiamo, fra le altre, queste suggestive rappresentazioni: la discoteca come l’inferno dantesco (p. 35); l’astronauta investito da un taxi che rimane sospeso nello spazio di una Londra surreale (p. 66); gli zombi che emergono dalle acque e avvinghiano il tassista (pp. 59 e 60). Ma anche l’auto che finisce nel Tamigi (p. 72) è un rimando a mille storie e fumetti avventurosi. In qualche modo Dylan Dog tradisce ancora il suo debito nei confronti del fumetto classico e avventuroso, seppure rimodellato dalla personalità di Sclavi, che trita attraverso il proprio immaginario fantastico la tradizione trasformandola in citazione. Tuttavia gli ampi scenari fantastici del fumetto sclaviano esprimono una potenza solenne che è del tutto sfumata in Valter Buio.
In Buona notte e buona fortuna sono i sogni di un ingenuo a prendere forma. Magari quelli di un bimbo che rivede le letture scorse l’istante prima che il sonno lo ghermisse. Contesti domestici provinciali sostituiscono gli immaginifici scenari sclaviani, in molti casi prelevati da un ingombrante immaginario collettivo mediatico. I salgariani Tremal-Naik e Kammamuri entrano discretamente nella vettura dell’autobus facendo strage di feroci thug strangolatori (pp. 31-35), senza disturbare Valter Buio che dorme e, forse, sogna quelle medesime avventure. La realtà è occultata dalla visione di un sogno, semplice come il miraggio di un bimbo. Una fantasia dove gli arredi e gli oggetti del protagonista si intrufolano in una dimensione onirica e alterata. Gli oggetti del quotidiano sono segni che hanno perso la loro funzione d’uso comune e ne riacquistano una fantastica. La verità, che è cruda e banale, la scrutiamo alle prime luci dell’alba che distruggono i sogni. Allora scopriamo (p. 91) che il prode Kammamuri altri non è che un poveretto, un arrotino extracomunitario morto ammazzato e che gli oggetti personali, accompagnatori e persecutori della notte di Valter Buio, altro non sono che il risultato di una banale ruberia.
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Bilotta si disinteressa del tutto di vicende grandiose e avvincenti spostando la propria attenzione sugli episodi umili della comune esistenza. Facendo ciò abbandona completamente quell’eroismo di atmosfera che permaneva ancora nelle storei di Sclavi, nelle scenografie, nelle ambientazioni. Con questo non si vuole dire che Valter Buio sia un Dylan Dog spogliato di qualcosa e neppure che sia un Dylan Dog semplicemente ricollocato in un’ambientazione nostrana. I due personaggi sono profondamente diversi, anche se assumiamo come punto d’osservazione una prospettiva storico-ideologica.
I diversi mostri di Dylan Dog e di Valter Buio
Il personaggio di Bilotta è invece erede di una generazione senza ideali, rinchiusa in sé stessa, che non ha conosciuta le grandi illusioni del passato. Eppure in questo ripiegamento intimistico e totalmente autodistruttivo sta la grandezza di Valter Buio, per la forte umanità che riesce, nonostante tutto, a preservare. Buio vive il proprio destino con fierezza e con generosità, per quanto sia consapevole che le proprie passioni, le proprie speranza, la sua esistenza stessa siano del tutto inutili. Sebbene lo psicanalista degli inconsci avverta che il mondo non gli appartiene, tuttavia non smarrisce la profonda intima connessione con il restante genere umano, cui tributa, a dispetto di una disincantata osservazione permeata di pessimismo cosmico e storico, affetti autentici, doloroso rispetto, sincera compassione.
L’eroismo di Valter Buio consiste nella sua capacità di fronteggiare il suo animo, che cela un mostriciattolo raccapricciante, probabilmente invincibile.
In Dylan Dog, il significato, più o meno palese, era che il mostro si nascondesse dietro la faccia bonaria e banale del vicino di casa. La mostruosità era svelata dagli atteggiamenti delle persone cosiddette normali, si insidiava e prendeva l’aspetto della ripetitiva consuetudine, della quotidianità, della banalità. Valter Buio porta alle estreme conseguenze quella suggestiva rivelazione riscoprendo quel senso di impalpabile mostruosità addirittura nell’animo stesso del protagonista. È una mostruosità “debole” la sua, che non si rivela in clamorose conseguenze, dagli effetti spettacolari per l’economia dell’azione fumettistica, ma in risultati interiori largamente devastanti.
Quel piccolo mostro, ordinario nell’odierna esistenza, lo ritroviamo nell’inanità, nell’accidia, in quella nausea del vivere che accompagna l’intera vita fumettistica di Valter Buio.
Eroe normale.
Mostruosamente normale.
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