L’apparizione del ministro delle finanze greche al Forum Ambrosetti di Cernobbio ha una sua forza letteraria e mostra in tutta la sua complessità le contraddizioni inevitabili in cui si sprofonda volendo salvare capra e cavoli, ossia l’euro e la democrazia, l’Europa e l’autonomia di bilancio (che è poi autonomia politica) finita nelle mani dei banchieri. Così abbiamo un Varoufakis Jekyll il quale dice, di fronte a una Dieta di padroni e padroncini che la moneta unica non può esistere senza un unione politica ( di là da venire tuttavia) e che “la Grecia è fallita, lo era già nel 2010 ma si è voluto fingere che non fosse così per trasferire le perdite delle banche francesi e tedesche sui contribuenti europei”.
Purtroppo è lo stesso Varoufakis, tramutatosi nel signor Hide sotto l’effetto di una qualche pozione, che qualche ora prima, per nome e per conto di Tsipras e del governo di Syriza aveva detto “Siamo pronti a rimandare l’attuazione di alcuni impegni elettorali, se questo è necessario per dare fiducia ai nostri partner”, lasciando intendere che l’esecutivo di Atene è in procinto di esibirsi in una nuova e più corposa versione della resa alla troika. Insomma si vuole dare fiducia a partner che secondo gli stessi attori della vicenda non la meritano.
Mi domando se al mondo ci sia qualcosa di più sconcertante di un’analisi lucida e razionale che viene però contraddetta in nome di feticci che non hanno alcuna rassomiglianza col mondo reale e che sono semmai di ostacolo alla realizzazione di antichi progetti snaturati e ridotti a cenere monetaria. Mi chiedo come non ci si accorga che cedimento dopo cedimento si finisce per avvalorare anche in via di principio che la volontà di un ristretto numero di oligarchi continentali, sia prevalente rispetto alla volontà popolare democraticamente sancita. Del resto tutta la contraddizione era già contenuta nella posizione iniziale che cercava di conciliare eurismo ed europeismo da esso derivato, con un’inversione di rotta a 180 gradi e con il ritorno alle politiche sociali. Una pura illusione, forse alimentata dalla convinzione che alla fine Bruxelles e Berlino avrebbero fatto ampie concessioni pur di evitare lo choc di una rottura dell’unione monetaria con il pericolo di un effetto domino. E pensando, in questo quadro, di poter tamponare la situazione attraverso un po’ di finanza creativa via Bce o banca europea di investimenti.
Così non è stato, ma invece di prendere atto dell’errore di valutazione e di riformulare la propria strategia, Tsipras e il suo governo sembrano passati a un piano B che non è quello sperato e suggerito nei mesi precedenti dalle opposizioni continentali, ma una resa senza condizioni. Piuttosto che rompere con i diktat di Bruxelles meglio rompere con la democrazia, la dignità, il welfare, il futuro. Il governo di Syriza rassomiglia sempre di più a quelle donne donne maltrattate che tuttavia per paura, per smarrimento o amore malinteso si rifiutano di denunciare il loro torturatore.
E dire che le parole anti euro di Varoufakis a Cernobbio sono state calorosamente applaudite, mentre gli interventi dei travet della reazione come Monti o Visco intenti a suonare i loro dischi rotti hanno lasciato la platea indifferente. Forse cresce la consapevolezza che una Grecia troppo facilmente sottomessa non sia un buon affare per nessuno, forse siamo di fronte a una imminente frattura del blocco eurista, perché alcuni ritengono che molti obiettivi politici impliciti nella creazione dell’euro e nella sua gestione, anche se invisibili in un primo momento, sono stati raggiunti e infierire potrebbe mettere a rischio le “conquiste” dell’ultimo decennio in fatto di distruzione dello stato sociale, dei diritti del lavoro, dello stato come regolatore oltre che la creazione dei regimi post democratici. Insomma una resistenza di Tsipras probabilmente non dispiacerebbe nemmeno a qualche secondino dell’euro.