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Lo strano caso del #referendum in #Grecia

Creato il 06 luglio 2015 da Luca Troiano @LucaTroianoGPM
Lo strano caso del #referendum in #Grecia

Celebrato da più parti come un "esempio di democrazia", il referendum greco del 5 luglio presenta in realtà molte ombre. Non soltanto in riferimento alle sue conseguenze politiche ed economiche - al momento più che mai incerte, quanto per le modalità del suo stesso svolgimento.

Federico Fubini, sul Corriere del 4 luglio, ha notato le seguenti "stranezze":

Nella traduzione dall'inglese del testo di nove pagine sul quale otto milioni e mezzo di elettori sono chiamati a votare nel referendum, era finito fuori posto un "no": nella prima versione, pubblicata lunedì sul sito del ministero dell'Interno, si leggeva di una stima dei creditori che portava (in certi scenari) all'insostenibilità del debito. Peccato che il testo originale spiegasse l'opposto: "Non ci sono problemi di sostenibilità".
La correzione è arrivata sul sito del ministero solo al terzo giorno di una campagna di sei, dopo che l'agenzia Bloomberg aveva notato l'incongruenza. Ma chi aveva già scaricato il testo europeo sul quale domani si gioca il futuro dell'euro, forse non lo scoprirà mai. Il governo di Alexis Tsipras non ha emesso comunicati per attirare l'attenzione sul nuovo testo. Non ha spiegato la differenza fra le due versioni, di cui la seconda (quella vera) è più favorevole ad Atene.

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C'è almeno un problema in più: gran parte degli elettori non ha accesso alla "proposta dei creditori" (nel frattempo ritirata) su cui si vota. Il ministero dell'Interno non ne ha distribuito copie e il governo non l'ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale all'annuncio della consultazione. Ai seggi il testo non sarà affisso. Le nove pagine in greco sono pubblicate solo sul sito del ministero, in un Paese che - secondo le stime della Commissione europea - resta agli ultimi posti per la diffusione di Internet con la Bulgaria, Cipro e la Romania.

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Non sorprende se molti pensino di poter votare "No" eppure restare nell'euro, perché la posta in gioco non è mai stata chiarita. Né stupisce che riemergono pratiche clientelari ben note anche in Italia: un governo senza risorse rende gratuiti i trasporti pubblici per la settimana del voto, al mercoledì riassume 230 dipendenti della metropolitana e al giovedì 1.293 bidelli delle scuole. Neanche il fronte del "Sì" peraltro è estraneo alle stesse tecniche: si moltiplicano i casi di imprenditori che invitano i dipendenti a votare per l'accordo se vogliono vedere la prossima busta paga.

C'è poi il problema dei 200 mila elettori all'estero, un gruppo decisivo ma tagliato fuori: pochi di loro sembrano essere riusciti a organizzarsi per rientrare a votare in così pochi giorni, ma il governo non permetterà loro di depositare la scheda nelle ambasciate come accade alle elezioni europee. Niente tuttavia risulta strano come la scelta, nuova per la Grecia, di far mandare tutte le schede votate direttamente dai 19.160 seggi del Paese al ministero dell'Interno di Atene. Non più alle sedi regionali vicine, come si sempre fatto. A differenza che nel referendum sulla Repubblica nel 1974, gli spazi da barrare del "Sì" e del "No" stanno sulla stessa scheda, non su due distinte, con il "No" favorito dal governo piazzato sopra. Il rischio è che gli scrutatori annullino più facilmente i voti sgraditi. Del resto il comitato del "Sì" avrà un rappresentante per seggio, il "No" tre: uno di Syriza, uno di Alba Dorata (neonazisti) e uno di Anel (estrema destra).
Proprio il leader di Anel Panos Kammenos, ministro della Difesa, giovedì ha notato che la sicurezza interna al Paese è garantita: lo è dalle Forze armate, ha osservato. Sarebbe incostituzionale anche solo dirlo, in un Paese che ha subito una giunta militare. Ma Tsipras, al suo fianco, non ha eccepito. E se sembra un paradosso che il futuro dell'Europa si decida così, forse è perché lo è.

Il tutto con buona pace dell'imparzialità. Se la recente consultazione fosse stata seguita da osservatori internazionali imparziali, è probabile che avrebbero avuto molti motivi per censurare il comportamento del governo Tsipras.


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