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Era il 2001 quando Jean-Pierre Jeunet si impose nel cinema mondiale con un piccolo gioiello visivo e di trama come Il Favoloso Mondo di Amelie. Una piccola storia, che rubò il cuore di molti, compreso il mio.
Prima, il regista francese si era fatto notare per una storia molto diversa, molto più cupa, quel Delicatessen che a differenza del titolo non era una visione particolarmente gustosa, anzi.
Poi, invece, il regista francese ha dovuto fare i conti con l'essere all'altezza di un cult, di soddisfare quel pubblico che da lui chiedeva la stessa magia, ma non in serie, non in ripetizione.
Se con Una lunga domenica di passioni, affidato ancora una volta alla sua beniamina Audrey Tautou c'è in parte riuscito, poi con quell'Esplosivo Piano di Bazil, qualcosa si è inceppato.
Gli ingredienti erano gli stessi: voce fuori campo, piani machiavellici esposti, padronanza della fotografia, con sovrimpressioni, flashback, fantasie ad occhi aperti che si materializzavano su schermo.
Ma forse la presenza di Dany Boon, forse una trama non del tutto avvincente, Bazil fallì nella sua impresa e in Italia, da quel 2009 di Jeunet non si seppe più nulla.
Ma veniamo all'oggi, veniamo a quel T.S. Spivet che arriva nelle sale, un film uscito in Francia nel 2013, che complice la penuria preestiva trova spazio anche da noi, finalmente.
Il film rappresenta una piccola svolta, perchè Jeunet abbandona Parigi, abbandona la sua Francia, arrivando in America, nell'America più profonda tra l'altro: quella del Montana, fatta di campi e di ranch, di cowboy, di animali, di una natura spensierata e selvaggia.
La produzione è però franco-canadese, e nel cast il solo nome di Helena Bonham Carter è di quelli noti.
La storia non è però centrata su di lei, il T.S. del titolo è un bambino, un ragazzino di 10 anni appassionato di matematica e di scienza, un piccolo genio che si diverte a studiare i fenomeni più disparati, ad inventare marchingegni, ad osservare ciò che gli sta attorno. Tutto il contrario del suo gemello, di Layton, lui corre, spara, si tuffa, lui ha lo spirito dell'uomo della natura, del cowboy che il padre è e che il padre ammira.
A completare il quadro famigliare una sorella Miss America wannabe, e una madre entomologa, alla perenne ricerca di insetti da studiare e classificare.
Qualcosa però un giorno si rompe, qualcosa che ha il fragore di uno sparo, che finisce nel silenzio, in una camera abbandonata, in una famiglia che evita di parlare, che evita il dolore.
T.S. che non si sente capito, non si sente accettato, allora se ne va, complice un premio per l'invenzione di una macchina che realizza la grande utopia del moto perpetuo, salta (clandestinamente) sul primo treno, e viaggia attraverso l'America direzione Washington, dove lo Smithsonian Museum deve conferirgli un premio.
Sarà un viaggio dove si rincorreranno avventure, incontri, paure, lacrime e senso di libertà, dove T.S. avrà modo di affrontare quel dolore, anche attraverso le pagine di diario della madre, che ha portato con sé.
In questo film on the road non mancano quindi le caratteristiche tipiche dei film di Jeunet: un protagonista particolare, al limite dell'autismo, una famiglia altrettanto speciale e ben caratterizzata, un piano di fuga e di viaggio le cui tappe, le cui imprese, ci vengono mostrate con i soliti sognanti e fiabeschi colpi di genio.
Ma c'è qualcosa che scricchiola in tutta questa storia, e quel qualcosa arriva proprio là dove il viaggio finisce, dove quel premio nonostante la giovane età di T.S. sta per essere ritirato e il film prende un'altra piega, più ironica, forse, ma meno efficace.
Il fatto è che si scivola inevitabilmente in un buonismo e in uno stucchevole in cui si era già incappati qua e là, visto che con un protagonista bambino (il comunque bravo Kyle Catlett, già fortunato figlio di Joe Carroll in The Following) e con un lutto da elaborare il rischio era alto.
A non funzionare del tutto sono poi quegli incontri casuali che costellano il percorso di T.S., a volte forzati, a volte poco incisivi.
Fortuna allora che al di là della storia, è la regia a fare la differenza, una regia che ai cinici potrà sembrare statica, ferma in quello stile che ha fatto la fortuna di Jeunet, ma che lascia sempre soddisfatti, con quelle trovate, con quel piglio, che sanno incantare.
Non sarà quindi all'altezza di quell'Amelie, non sarà un buco nell'acqua come Bazil, ma questo straordinario viaggio di T.S. Spivet, per quanto non del tutto straordinario, è godibile quanto basta.
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