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Lo stravagante mondo di Greenberg

Creato il 08 aprile 2011 da Robomana
Lo stravagante mondo di GreenbergA più di un anno dalla presentazione berlinese, dopo che per mesi il titolo cadeva sotto la voce pending nei listini delle case di distribuzione, è arrivato nei cinema italiani Lo stravagante mondo di Greenberg di Noah Baumbach, che in originale fa solo Greenberg, dal nome del suo protagonista, ma che qui si è cercato di vendere come una commediola lurida e folle alla Ben Stiller o alla Adam Sandler. Niente di tutto ciò, invece. O meglio, non proprio. Perché, sì, in effetti si parla davvero di un tizio che vive in un mondo tutto suo, stravagante insomma, ma non in modo allegro e svaccato come si potrebbe credere dal trailer del film. Greenberg è un po' autistico e un po' stronzo, è l'ennesimo figlio minore dell'eroe ridicolo per eccellenza creato da Saul Bellow, Moses E. Herzog, ebreo incazzoso e geniale, grafomane che scrive lettere a chiunque ed è incapace di vivere una vita serena per conto suo. Il personaggio di Stiller, che è ebreo naturalmente, non ha la statura tragica del fallimento narrato da Bellow, ma ha una sua lucida alterità, una sua cocciuta tenerezza.
Forse perché da New York si sposta a vivere per qualche mese a Los Angeles, e quindi si cala nella luce accecante del benessere americano, al quale naturalmente non sa adattarsi; forse perché, ancora, si porta appresso, per l'appunto, secoli interi o anche solo decenni di modelli di vita e depressione cronica (Allen, certo, ma pure Lenny Bruce, Roth e certi eroi sfigati, ebrei pure loro, di Chabon). Soprattutto, però, perché il suo creatore, il regista e sceneggiatore Baumbach, è l'abituale collaboratore di Wes Anderson, insieme al quale ha dato vita a un vero e proprio universo di alterità, a una specie di resistenza delle emozioni che sfocia in una stupidità rabbiosa e innocente.
In difetto rispetto ad Anderson, in questo e negli altri suoi film  (due, Il calamaro e la balena e Il matrimonio di mia sorella), c'è la componente visiva, la mancanza nella regia di uno stile, di uno sguardo, di una follia che non sia solo letteraria. Baumbach, sa scrivere, insomma, sa gettare personaggi fragili in un mondo troppo grosso per loro - che poi è il presupposto di ogni racconto di formazione o deformazione della cultura americana - ma non sa costruire attorno a loro un universo creativo indipendente e credibile.
Lo strano mondo di Greenberg è così un'occasione mancata, un vorrei ma non posso che fa sentire l'assenza di un regista vero dietro la macchina da presa.

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