Qualche giorno fa sono incappata nella copertina del numero di maggio Vogue Paris, e ne sono rimasta piuttosto colpita. Kate Moss è la protagonista di questa immagine, quasi immobile e seria al centro della fotografia a sfondo rosso, viene aggredita da cinque braccia, mani maschili che irrompono sulla scena per denudarla.
Le mani non hanno corpo, sono uomini senza volto, di cui abbiamo dinnanzi solo il gesto aggressivo sul corpo della modella, oggetto del desiderio, che non oppone resistenza. La scritta “ Kiss me Kate” vorrebbe farci credere che si tratta semplicemente di una scena di contesa, uomini che la desiderano e che la tirano a se, come (ve lo ricordate o siete troppo giovani?) nell’antico gioco del tiro della corda. Ma questa interpretazione innocente mi sembra estremamente lontana dall’evidenza dell’immagine in questione.
Guardate bene la coreografia dei gesti che compongono l’azione in corso: due paia di braccia puntano alla giacca, per scoprirle il seno, una mano spaiata punta all’altezza del pube.
Trovo questa immagine di una violenza inaudita, una violenza che non mette in valore né la bellezza della protagonista, né il valore dei suoi abiti (che da ingenua ho sempre pensato dovessero essere i veri protagonisti di ogni servizio di moda). L’unico aspetto valorizzato è il potere violento e prevaricatore di questo gesto, mani che emergono dal nulla, e che aggrediscono, prevaricano, senza che nulla le fermi dove la donna, ancora una volta, altro non è che la vittima di un’azione che subisce passivamente, come un terreno da conquistare, palpare, spogliare.
Quello che considero un valore aggiunto ad immagini come queste è il trapelare di uno stereotipo perverso, evocato da fantasie maschili ed entrato a far parte dell’immaginario collettivo riguardante il rapporto della donna con la sessualità; parlo dell’insistenza nel descrivere la donna come vittima consenziente, segretamente colta da eccitazione e piacere nel recitare la parte della vittima, presa con la forza.
Non so voi, ma a me viene in mente un quadro simile ma contraddistinto da una forza e una capacità critica lontana anni luce da immagini come queste; alludo a Kontakthof ( Il luogo dei contatti) piece dove la coreografa Pina Bausch nel 1978 metteva in scena uno stupro di massa; rivedo quel toccare, quelle mani in queste mani. Penso che quelle mani potrebbero accarezzare, sollevare o supportare, comunicare o aiutare anziché aggredire.
Il mondo della moda, come quello della pubblicità, ha davvero bisogno di riutilizzare suggestioni come queste, erotizzandole? Quante ne abbiamo già viste? Quante ancora dovremo vederne?
Inoltre, la storica rivista di moda non è nuova all’attirare polemiche; come immagino ricordiate, nel numero di dicembre 2010, l’ultimo firmato dall’ex direttore Carine Roitfeld, venne pubblicato un servizio dall’atmosfera a dir poco sconcertante, in cui le modelle, un gruppo di bambine, venivano estremamente erotizzate e rappresentate con posture, trucco, abbigliamento da dive adulte annoiate e amanti dell’eccesso.
Non abbassiamo la guardia mi raccomando, e abituiamoci ad educare il nostro sguardo come strumento critico di difesa.