© Festival del film Locarno
Poche ore fa in Piazza Grande è stato proiettato il film “Dancing Arabs”. Un’opera che s’insinua insospettabilmente sotto pelle e ti accompagna per giorni. In molti rimaniamo colpiti, ma non subito. Lo realizziamo solo a ore di distanza. Perché non sono le immagini, non è la trama (per nulla scioccante e in alcuni passaggi fantasiosa), e non sono neppure i vari messaggi (in)diretti a redere la pellicola tante efficace.
Il film ci riporta agli anni ’90, a Gerusalemme, in una prestigiosa scuola per seguire un manipolo di adolescenti, anzi uno in particolare: Eyad. Il ragazzo è talmente brillante da riuscire ad essere ammesso nel migliore istituto della città dove, superate le iniziali diffidenze dei compagni, diviene il primo della classe, conquista la fiducia di Yonatan (suo futuro migliore amico) e il cuore di Naomi.
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Un racconto di crescita; una storia comune in quelle terre martoriate da decadi di conflitti; una trama che riesce, con delicatezza, gentilmente, a parlare di molti argomenti che vanno anche oltre religione o politica. “Dancing Arabs” è un viaggio nei meandri del cuore, è una sinfonia di emozioni, che non ci strappa alcuna lacrima o punta a farci venire il magone. Al contrario decide di farsi ricordare con discrezione, sfiorando i nostri punti sensibili e non lasciandoli più.
La pellicola ripercorre il delicato passaggio dall’adolescenza all’età adulta; mostra le difficolta legate all’accettazione (sia di se, sia da parte dei compagni); affronta i traumi degli amori giovanili, gli affetti e le gelosie tra maschi, quando la prima fidanzatina entra in scena. E poi, come se non bastasse ci sono i drammi familiari. Fondamentali sono quindi le scelte. E il carico di Eyad è doppio: lui non è un normale adolescente problematico, bensì un bravo ragazzo palestinese che comprenderà sulla sua pelle il significato di vivere in quella terra con un retaggio da mussulmano. Per realizzare i suoi sogni dovrà decidere a cosa dare importanza: all’appartenenza ad un gruppo/ ad un ideale o a sé stesso e al successo personale?
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I personaggi principali sono solo una manciata, quattro sono donne, due sono madri, entrambe saranno importanti per il futuro di Eyad. La regia è asciutta e determinata. I dialoghi sono rapidi ed efficaci, senza soliloqui interminabili, spiegoni inutili o situazioni degne di una soap o di un melodramma retrò. L’ironia è sempre presente ed è sottile. Disarmante nella sua profondità e semplicità, e infinitamente efficace, questo film è bello e ci solletica ancor di più scoprire si basi su un romanzo di un giovane autore di successo (Sayed Kashua) che ha vissuto in prima persona parte di quanto mostrato. “Dancing Arabs” è da vedere, da leggere, da non dimenticare. Il regista , noto al pubblico per “Il responsabile delle risorse umane”, ”La sposa siriana” e “Il giardino dei limoni”, è tornato alla grande.
Vissia Menza