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LocarnoFestival2014: i 5 film che ho visto oggi, lunedì 11 agosto

Creato il 11 agosto 2014 da Luigilocatelli
'The Hundred-Foot Journey'

‘The Hundred-Foot Journey’

Le proiezioni stampa viste oggi, in anticipo di un giorno rispetto al programma ufficiale.

ore 9,00: Dos Disparos di Martín Rejtman. Argentina, 104 min. Concorso internazionale.
Uno dei film del concorso peggio accolti. Noia e malumori stamattina al Kursaal, e più di una fuga. Certo, non di quei film friendly verso lo spettatore e il critico (che poi è uno spettatore come gli altri). Un film che a un certo punto ne diventa un altro, pur mantenendo qualche personaggio in comune, come un movie-movie. Di quelle cose argentine di ambiente borghese corroso dentro alla Lucrecia Martel, con scivolamenti e derive verso il surreale, l’assurdo, il non senso, il disordine, lo squilibrio (vedi anche il film-rivelazione made in Argentina di Cannes 2014, Relatos Salvajes). Un film entropico, come posseduto da una paralisi progressiva. Un ragazzo di famiglia borghese trova una vecchia pistola, come il Michel Piccoli di Dillinger è morto di Ferreri, e si spara i due colpi del titolo, uno in testa l’altro in pancia. Sopravvive, con in corpo una pallottola che non si riesce a individuare. Segue una cronaca familiare (e di amici intorno) di alterazioni e alienazioni. Tutt’altro che da buttare e da fischiare.
ore 14,00: A Blast di Syllas Tzoumerkas. Grecia, 83 min. Concorso internazionale.
Pienone insolito al Kursaal per questo film greco. Immagino merito, o colpa, di quella frase buttata lì nella sinossi: “Questo film contiene scene che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni spettatori”. E che sarà mai? Violenza insostenibile? Sesso estremo e esplicito? Invece, niente di esplosivo. Qualche scenucola di video porno tremolanti di quelli che sulla rete ti tirano dietro aggratis, più qualche scopata finto-scatenata tra la protagonista Maria e il fichissimo marito marinaio. Narrazione frantumata e decostruita per aumentare il tasso di (presunta) autorialità. Il flm ambisce a farsi ritratto e metafora della crisi economica greca, mettendo al proprio centro una famiglia indebitata con le banche e con la locale Equitalia, e costretta a escogitare un piano criminale per trovare i soldi. In realtà, al di là dell’esibito impegno, trattasi di un film scatenatissimo e goduriosamente (per noi) trucido, con gente sciamannata che non fa altro che urlarsi dietro le peggio cose. Del nuovo cinema greco ha solo il gusto per il malsano e i disastri di famiglia, non lo stile, non la visione, non il rigore. Le scene in cui Maria (la protagonista) zompa letteralmente addosso al marito non appena sbarca dalla nave e subito lo sdraia ne hanno già fatto il guilty pleasure di Locarno 67 insieme a Love Island. Il massimo è quando lei a un gruppo di self-help (ma perché ci va?) proclama: “ho un marito perfetto che mi ama e non mi ha mai tradito”, e intanto vediamo lui che si tromba selvaggiamente sulla nave un suo marinaio.
ore 16,oo: Los Hongos di Oscar Ruiz Navia. Colombia, 103 min. Cineasti del presente.
Hip-hop, graffiti e graffitisti, rap e rappers. I ggiovvani creativi e ribelli contro il Sistema, che qui vien chiamato biblicamente Babilonia. Cose che abbiamo visto quelle mile volte da trent’anni in qua, solo che stavolta siamo in Colombia, a Cali, già capitale del narcotraffico insieme a Medellin. Due amici, uno di famiglia piccoloborghese l’altro di etnia africana, vanno in giro, vedono gente e fanno cose, soprattutto graffitano. Grandissima la nonna che tutto vede, capisce e intuisce. Con una scena di sesso per niente torrida ma assai sintomatica dei tempi: uno dei due ragazzi scopato dalla sua girlfriend e da lei usato come fosse un dildo, né più né meno. Dopo che lei ha orgasmato sodisfatta, gli dice: “Adesso finisci da solo, che io son troppo ubriaca”, e lo molla lì, la stronzetta.
ore 18,00: Navajazo di Ricardo Silva. Messico, 75 min. Cineasti del presente.
In giro per Tijuana, una delle città messicana più luride, ai confini con gli Usa e sentina di ogni vizio e traffico. Un documentario che è qualcosa di più e qualcosa d’altro, un viaggio agli inferi. Nel sordido, nel laido, nel marginale, nel bizzarro. Tossici che si fanno in vena sotto tende di cellophan, templi voodoo di giocattoli, attori di novelas, attori porno, cazzi tatuati. Cose mai viste, vi dico. Una delle esperienze vere, e veramente radicali, di questo Locarno, e forse uno dei suoi vertici. Messicano di scuola Reygadas. Imperdibile. Per stomaci forti.
ore 21,00: The Hundred-Foot Journey di Lasse Hallström. 124 min. Sezione Piazza Grande.
Irresistibile. Questo film travolgerà domani sera (mart. 12 agosto) Piazza Grande e da lì partirà per una lunga marcia, pesumibilmente trionfale, nei cinema di tutto il mondo. Il regista di Chocolat applica la stessa ricetta, stavolta però con il cibo indiano e relative spezie e sapori. Una famiglia di Mumbai, scacciata da un pogrom se ho capito bene anti-islamico (il film sta volutamente sul vago), emigra in Europa. Finendo prima a Londra poi nel solito villaggio francese da cartolina alla Lasse Hallström, dove apre un ristorante di purissimo indian food. Sarà guerra con il dirimpettatio Salice Piangente, restaurant di alta cucina francese, una stella Michelin. Ma il dotatissimo Hassan, che dalla madre ha imparato come il cibo abbia un’anima (anzi sia animato da spiriti), porterà al trionfo prima il ristorante di papà, indi diventerà uno chef star. Si parla di cibo per parlare chiarissimamente di altro. Di come le culture possano confliggere ma anche coabitare, e magari sperimentare quello che gli antropologi chiamano acculturazione, vale a dire l’incrocio, la commistione, il mutamento per contatto. Naturalmente si tratta di una favola, e proprio per questo ci piace. No, non pensate alla solita melassa politically correct, qui siamo al vertice del genere buonista-multiculturale, alla sua sublimazione. Un film che è anche l’incontro-confronto tra cinema occidental-americano e bollywoodiano. Con due star che li rappresentano al meglio, Helen Mirren e Om Puri. Producono (anche) Steven Spielberg e Oprah Winfrey, e già questo.


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