Lombardo deve dimettersi: parola di Mario Monti

Creato il 18 luglio 2012 da Nicola Spinella @ioparloquantomi

Il premier invia una lettera al viceré, chiedendogli conferma della data di dimissione dalla presidenza della Regione Siciliana che è sull’orlo della bancarotta a causa di una gestione scriteriata.C’è un filo sottilissimo che congiunge Atene alla Sicilia, e purtroppo non parliamo dei coloni giunti da Corinto a regalarci Siracusa, né dalla penisola Calcidica a fondare Giardini Naxos.

Il rischio default, per Palermo è dietro l’angolo. Gli anni di presidenza Lombardo, susseguenti alla disastrosa gestione Cuffaro, relegano la Sicilia in fondo alla classifica di gradimento delle discusse agenzie di rating che (dopo la figuraccia rimediata la scorsa settimana, quando furono sconfessate dai mercati in relazione al declassamento dell’Italia) temono il collasso finanziario per la regione.

Che ci si stia ricredendo su Moody’s e sugli interessi speculativi che animano queste agenzie di valutazione? Non esattamente, la consapevolezza della possibilità di attacchi speculativi è già acquisita, non stiamo saltando sul carro del vincitore o rivalutando un sistema che non ci piace perché ben si presta alle manovre del potere finanziario, intenzionato a mantenere la società civile sotto il peso di un giogo inventato dal nulla grazie ad abili manovre di cui l’Euro è solo la punta dell’iceberg.

Probabilmente, per la prima volta in nove-dieci mesi di assurdità, il bocconiano ha espresso un parere condivisibile, benché si pongano problemi di vario genere in merito all’opportunità che un primo ministro si esprima in maniera così decisa verso un’istituzione che fa dell’autonomia statuaria la prima bandiera. Ma non trinceriamoci dietro insostenibili vessilli volti a difendere l’indifendibile: l’autonomia dello statuto non deve essere il pretesto per giustificare lo sperpero di denaro pubblico con cui la classe politica ha macchiato la Sicilia.

Il 24 luglio, una settimana prima delle annunciate dimissioni, si terrà l’atteso incontro tra il premier da una parte e il viceré dall’altra. Sul tavolo degli argomenti c’è il buco di bilancio certificato dalla Corte dei conti: cinque miliardi di euro prodotti da una gestione assurda della politica siciliana, che ha favorito e retto un folto sistema di clientele. E’inutile far finta di niente: la nostra regione dispone di quasi trentamila impiegati regionali, novanta deputati con trattamento economico equiparato a quello dei parlamentari, auto blu e agevolazioni di ogni sorta. Insomma, cari siciliani disoccupati o in condizioni di povertà (come indicato dall’ISTAT), è tutta colpa Vostra: se aveste avuto un santo in paradiso, non vi trovereste a dover campare, nella migliore delle ipotesi, con 1000 euro al mese. Il paradiso, diceva qualcuno, è un luogo sulla terra e per circa trentamila dipendenti (tra Regione e società controllate) quell’Eden si chiama Palazzo dei Normanni.

E’ evidente che non si possa più far finta di niente dinnanzi ad un simile sperpero di denaro pubblico, favorito dalla complicità di tutta la classe politica locale che nel corso di questi quattro anni ha sostenuto in vario modo l’operato del presidente di regione più pagato d’Italia: chi è senza peccato scagli la prima pietra, la colpa di questo buco di bilancio è da attribuire in maniera proporzionale a tutti coloro i quali hanno retto il gioco alla gestione delle finanze regionali che ha suscitato l’interesse della Corte dei Conti. Se l’80% delle uscite di bilancio sono da ascrivere ai costi del personale è evidente che qualcosa è andata per il verso storto. Mantenere le clientele e “piazzare” gli amici al vertice dei posti di comando può garantire una longevità politica che travalica le dimissioni promesse dal governatore Lombardo a fine mese: si pensi alle centinaia di nomine degli ultimi giorni, autentico canto del cigno.

Prima fu il centrodestra, poi il PD, quasi a suggellare un patto trasversale che lega gli uomini di potere alla poltrona e alla gestione affaristica degli interessi, molto simile a quello sottoscritto da un Parlamento di rinnegati che, a Roma, sostengono un governo che non ha mai ricevuto l’approvazione del corpo elettorale. E’ ancora una volta il trionfo del qualunquismo, è ancora una volta la prova che davanti alla gestione della cosa pubblica si possono superare (quasi) tutte le divisioni ideologiche.

Paradossale ma lecito il tentativo di sconfessare l’operato del governo, appellandosi a presunte lesioni della autonomia regionale siciliana: in un’Europa sempre più intenzionata a cedere la sovranità al sistema finanziario governato dalle banche, ha ancora senso parlare dell’importanza degli stati nazionali? A che vale l’autonomia regionale quando Atene, Madrid, Lisbona e persino Roma sono schiave di Bruxelles e Francoforte? Ha ancora senso parlare di “Europa dei popoli” quando c’è chi vuole cancellare la nostra storia sulla base di una moneta in carta di cotone dai mille colori sfavillanti e del valore di dieci centesimi di euro?

Non c’è più posto per gli stati nazionali in un’Europa sempre più intenta ad accreditarsi come centro di un potere finanziario da contrapporre (chissà fino a che punto!) a quello esercitato dalle lobby statunitensi.

Commissariare la Sicilia? Un’idea molto audace che però ci fa comprendere che dopo l’avvento del governo Monti, c’è qualcosa che è davvero stata abrogata, o forse è caduta in desuetudine: e purtroppo è la democrazia. Si vada alle urne, si abbia il coraggio di chiedere una pronuncia al popolo. Ed il popolo abbia il coraggio di sconfessare i pagliacci che hanno retto il circo politico degli ultimi venti-trent’anni.


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