LOMO: questo acronimo è il nome di uno storico complesso industriale russo e sta per “Leningradskoye Optiko Mechanichesckoye Obyedinenie”, ovvero “unione delle industrie ottiche e meccaniche di Leningrado”. LOMO è specializzata nella produzione di strumenti sia ottici che meccanici, fra cui lenti, telescopi (come il famoso Maksutov), binocoli, macchine fotografiche e videocamere, che fu fondata a San Pietroburgo – città che venne rinominata Leningrado durante il periodo dell'Unione Sovietica e poi divenne San Pietroburgo dopo la caduta del regime – nel 1914, col nome di GOZ, poi successivamente GOMZ e, dal 1962, LOMO.
Venendo al caso di nostro interesse, la LOMO ebbe il merito di produrre macchine fotografiche destinate al grande pubblico a costi molto contenuti, ma di discreta fattura e con buone ottiche, nella migliore tradizione sovietica. Alcune di esse sono passate alla storia, fra cui la Leningrad, una telemetro ispirata alla Contax con motore meccanico per l’avanzamento della pellicola, la Smena, completamente meccanica, la Lubitel 166, biottica medioformato, ma soprattutto il modello LK-A (nel resto del mondo più nota come LC-A), ovvero “LOMO Kompakt-Automat”: una compatta automatica tascabile e di struttura particolarmente solida e robusta, che altro non era se non una copia più economica della giapponese Cosina CX-1, costruita con materiali meno pregiati e dotata di un obiettivo di classe inferiore.
L'obiettivo della LOMO LC-A è il Minitar-1 32mm f/2.8: relativamente luminoso, concepito per mettere sempre a fuoco la scena inquadrata, è dotato di una lente di piccole dimensioni, restituendo colori molti saturi, alti contrasti e presenta una caratteristica vignettatura con evidente caduta di luce ai bordi del fotogramma.
La storia di come la LC-A sia diventata oggetto di culto e di collezionismo a partire dagli anni Novanta è nota agli appassionati di fotografia: la leggenda vuole che un gruppo di studenti di Vienna in gita a Praga, entrati nella vecchia bottega di un fotografo, trovassero in vendita a poco prezzo degli esemplari di Lomo LC-A. Dopo aver stampato i primi rullini fatti con queste nuove macchine, si accorsero immediatamente che le immagini ottenute con le LC-A avevano delle caratteristiche del tutto particolari: erano di bassa qualità in quanto tecnicamente difettose, ma al tempo stesso avevano una grande espressività, grazie a colori vivaci, alti contrasti e vignettature marcate. Fu chiaro che i difetti di queste macchine potevano essere usati in senso creativo per produrre immagini artistiche e sperimentali. Presto la curiosità si diffuse fra amici, parenti e conoscenti e l'interesse per le Lomo LC-A crebbe in pochi anni fino a diventare una corrente fotografica vera e propria e che ha assunto il nome di "lomografia".
La lomografia, in estrema sintesi, propone l'utilizzo di mezzi semplici e immediati per arrivare a risultati sorprendenti e artistici. Caratteristiche fondanti e cifre stilistiche della lomografia sono dunque l'ironia, l'approccio intuitivo e scanzonato, il rifiuto di regole precise e, soprattutto, l'utilizzo di materiali e apparecchiature "popolari", in cattivo stato di funzionamento, antiquati e scadenti. Il termine "lomo", a livello internazionale, ora non indica più tanto le macchine prodotte dalla ditta di San Pietroburgo, ma piuttosto tutte quelle macchine analogiche che possiedono caratteristiche idonee per questo tipo di approccio creativo.
Presto, come sempre accade con i fenomeni di culto e di moda, la lomografia divenne anche un discreto giro di affari, in concomitanza della fondazione della ditta "Lomography", la quale si è data il compito di diffondere questa nuova idea di fotografia, ma soprattutto di venderne i mezzi: macchine fotografiche, pellicole e accessori di ogni tipo. Insieme alla LC-A, ora non più prodotta dalla Lomo, ma fatta in Cina per conto di Lomography con il nome leggermente modificato di "LC-A+", la ditta ha riproposto altri modelli di macchine popolari o giocattolo, specialmente di origine cinese, come le celeberrime Holga e Diana (divenute rispettivamente Holga+ e Diana+), oppure proponendo macchine usate di origine sovietica, come le telemetro FED e Zorki, recuperate dal circuito dell'usato, restaurate e rivendute al pubblico a prezzi tutt'altro che sovietici.
Quindi per "lomografia" si intende oggi non solo la fotografia fatta con la LC-A / LC-A+, ma anche con tutte quelle macchine fotografiche analogiche di scarso livello tecnologico, magari con qualche difetto di fabbricazione e con poche possibilità di scelta per il fotografo. Possono essere incluse anche macchine giocattolo e camere stenopeiche, l'importante è l'imprevedibilità del risultato, un approccio diretto e l'utilizzo di apparati a bassissima tecnologia.
La lomografia è una corrente fotografica che ha il merito di aver rimesso in discussione l'approccio fotografico comunemente praticato e che ha generato importanti riflessioni sul linguaggio fotografico degli ultimi vent'anni. I mezzi fotografici del passato, siano fotocamere russe, cinesi o di qualunque altra provenienza, possedevano infatti potenzialità artistiche che non erano mai state esplorate sistematicamente prima del fenomeno "Lomo" ed era giusto che questa mancanza fosse colmata. Una cosa simile accadde per esempio con il recupero della fotografia stenopeica che avvenne soprattutto a partire dagli anni Sessanta grazie ad artisti di tutto il mondo, fra cui spiccano senz'altro i lavori di Paolo Gioli, Wiley Sanderson e molti altri.
In generale possiamo dire che esiste un complesso di tecniche che durante l'evoluzione della tecnologia fotografica sono state parzialmente abbandonate dal grande pubblico e che per questo motivo non sono state esplorate in tutte le loro possibilità creative. La lomografia è uno degli esempi più rappresentativi di recupero e riproposizione in senso moderno di apparati obsoleti, per raggiungere nuove possibilità artistiche.
Tutto bene fin qui. Il rischio che però si accompagna al discorso lomografico, il quale di per sé come già ricordato è profondo e intellettualmente molto proficuo, è che può diventare un facile approdo per chi ha scarsa attitudine per la fotografia e che si illude di poter produrre risultati artistici senza studio o comunque con con poco sforzo. Da qualche tempo a questa parte, infatti, la tendenza alla lomografia fra i fotografi amatoriali è notevolmente aumentata, viene perfino simulata in digitale, ma è anche vero che appaiono dimuiti il senso creativo e lo spirito di cerca che dovrebbe animare questo tipo di attività. Sembra, insomma, che la lomografia rischi di diventare in alcuni casi una scorciatoia, e lo scatto mediante una LC-A, una Holga o una Diana sarebbe dunque una sorta di condizione di grazia per cui qualunque fotogramma realizzato con questi mezzi potrebbe raggiungere lo status di prodotto artistico, in nome del recupero della fotografia spontanea e a bassa tecnologia.
Beninteso, di tutto questo le Holga, le LOMO LC-A e le Diana non hanno alcuna colpa. Anzi, sono mezzi da recuperare, con cui studiare e da usare con la massima devozione, perché hanno un'onoratissima storia alle loro spalle. L'uso che se ne fa dovrebbe però essere quantomeno onesto: non basta usare pellicole scadute, avere colori soprassaturi, vignettature evidenti, qualche graffio casuale e sfocature divertenti per fare fotografie artistiche.
Non è con il solo “mezzo povero” che si fa fotografia artistica, né con la sola improvvisazione che si costruisce un percorso fotografico interessante, ma facendo prove, con curiosità, con spirito di ricerca, con meditazione, passando attraverso successi e fallimenti. Il fatto di possedere una LC-A o una Holga non assicura alcuna riuscita: è sempre il fotografo il protagonista dell'atto fotografico, mai il mezzo. Se si sceglie la strada della lomografia non lo si faccia dunque per nascondere le proprie lacune o per ottenere immagini divertenti con poco sforzo. Il ricorso alla lomografia serve anche per liberarsi di un atteggiamento fotografico eccessivamente serioso e tecnicista, ma non si può certo prescindere dalla tecnica. Il vero spirito del lomografo è infatti ricercare e trovare possibilità espressive perdute o dimenticate, che quindi possono diventare sorprendenti proprio perché poco usate e inesplorate dagli altri fotografi. La lomografia serve per imparare, per trovare nuove strade. Usiamola, proviamola, fa bene a tutti, ma trattiamola con rispetto.
COMMENTI (1)
Inviato il 02 marzo a 19:23
Entro a commentare per informarvi che i credits dell'articolo sono di Stefano Mazza, nostro collaboratore. Il mio blog è diventato magazine, ed ora conta su un pool affiatato di writers. Non tutti gli articoli quindi sono e saranno del sottoscritto.