Zadie Smith è oramai una conferma tra i nuovi grandi talenti della narrativa contemporanea. E’ nata a Londra nel 1975 da padre inglese e madre giamaicana e si è laureata in letteratura inglese a Cambridge nel 1997.
Sostiene di non aver mai partecipato a un corso di scrittura creativa in tutta la sua vita, anzi dice di averne orrore.
“Denti bianchi” (2000) è un ritratto vibrante di una Londra contemporanea multiculturale, raccontata attraverso la storia di tre famiglie di diverse etnie.
E’ un romanzo brillante che la scrittrice londinese ha scritto quando aveva solo ventiquattro anni (è stato scritto quasi in contemporanea alla sua tesi di laurea) che racchiude tutta la ricchezza, la diversità e l’assurdità della vita moderna. Un libro pieno di allusioni letterarie (che vanno da Shakespeare a Salman Rushdie e a Yeats, da EM Forster a PG Wodehouse) che aggiungono ulteriori strati di significato a un romanzo già di per sé molto gratificante.
Un libro sul multiculturalismo che fa capire quanto la diversità sia in grado di arricchire l’umanità.
I suoi personaggi, ognuno alle prese con la propria crisi esistenziale, riempiono le strade, i negozi, le caffetterie e le case a nord di Londra in un mondo a cui tutti siamo indissolubilmente legati.
Zadie Smith esamina attentamente le cause della rabbia, della sfiducia, della perdita di identità e del senso di smarrimento (ma anche del fondamentalismo religioso e della violenza) di certe comunità di immigrati e lo fa con ironia e intuito straordinari.
La sua prosa ricorda EM Forster per la dolcezza e la gentilezza con cui disegna alcuni suoi personaggi, ma anche Kurt Vonnegut per come descrive la follia umana.
“Denti bianchi” è un romanzo molto radicato nella memoria e nel passato, tante piccole storie nella storia che mescolano pathos e umorismo con ritmo vivace e fanno “vedere” come il mondo non è esclusivamente bianco.
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