Le premesse erano tutte lĂŹ
Un fumetto, il primo in Italia, con protagonista un ragazzo cinese esperto di arti marziali, immigrato nel nostro Paese e di stanza a Milano, nella Chinatown meneghina che si sviluppa attorno a via Paolo Sarpi.
Un prodotto con storie dichiaratamente ispirate e che volevano rendere omaggio ai Kung-fu movies degli anni ‘70 girati a Hong Kong e alle pellicole americane buddy action del decennio successivo.
Diego Cajelli, quale curatore e scrittore principale della serie, autore esperto di storie metropolitane e noir, milanese e conoscitore di Milano e delle sue svariate atmosfere. Anche blogger intelligente e acuto che sostiene il suo punto di vista, quand’anche non allineato con il pensiero di massa, e che nel suo blog tratta di tematiche sociali e d’integrazione al pari di argomenti più leggeri come cucina o serie tv.
Un gruppo di autori e disegnatori, su tutti Luca Vanzella e Luca Genovese (creatore grafico dei personaggi principali della serie), giovani e dalle idee narrative e grafiche innovative.
Un hype volutamente creato e fatto crescere attorno al fumetto grazie a un’attenta e innovativa campagna di marketing virale1, fortemente radicata nel territorio urbano dove LW sarebbe stato ambientato.
Insomma, con queste premesse si poteva prevedere un successo scontato del prodotto, ma al contempo, si poteva anche andare incontro a un flop qualitativo e commerciale, vista l’alta aspettativa creata nei lettori.
L’evoluzione della serie
Il primo numero di Long Wei, Il drago, pubblicato da Aurea Editoriale, fa il suo esordio in edicola il 31 maggio del 2013, e si caratterizza da subito per essere una lettura piacevole di una storia ben scritta, con un’azione ben strutturata e pensata per accompagnare il lettore fino all’ultima pagina, tifando da subito per l’eroe protagonista.
Con il senno di poi, il debutto della serie è in qualche modo fuorviante, almeno per quanto riguarda il tono e la visione del mondo su cui sembra basarsi. Piacevole, scorrevole, di facile lettura, mostra come tratto caratterizzante una certa qual leggerezza e per la scrittura fluida di Cajelli. Gli editoriali impostano il rapporto autori-lettori attraverso precisi riferimenti narrativi, che aprono il contesto verso alcune fonti di ispirazione e stabiliscono quindi un terreno su cui costruire una complicità fruttuosa. Il risultato è un intrattenimento di tessitura più che buona, con un’azione ben strutturata, dialoghi efficaci e, soprattutto, un protagonista immediatamente simpatico.Anche da un punto di vista grafico il lavoro di Luca Genovese è molto efficace con i suoi richiami al fumetto orientale attraverso onomatopee, linee cinetiche e inquadrature.
Esordio positivo, dunque, ma con qualche mancanza. Milano, in primis.
Quella Milano “cineseâ€� che avrebbe dovuto essere pilastro fondante della narrazione resta evanescente, sullo sfondo, tanto da dare l’impressione che la città non influisca quasi per niente e che la storia avrebbe potuta essere tranquillamente ambientata in qualsiasi altra metropoli occidentale.
E poi il protagonista e i comprimari che in questa prima storia appaiono un po’ tutti personaggi piatti, mancanti di personalità e tridimensionalità, in un certo senso “già vistiâ€� e non portatori d’innovazioni narrative.Ma già nel secondo numero, L’Ombra, le cose cambiano drasticamente. Diego Cajelli e Gianluca Maconi avvolgono la vicenda in un mood cupo e disperato, lasciando trasparire che la mancanza di libertà quotidianamente vissuta dalla comunità cinese meneghina, a favore dei rappresentanti del potere criminale locale, arrogatosi in esclusiva proprio il diritto alla libertà, è uno degli intrecci della trama da svilupparsi nel corso della miniserie, con evoluzione e scioglimento da non dare per scontati.
Vero protagonista è il potere criminale, ramificato, capillare, efficiente e pragmatico, che controlla la vita quotidiana della comunità cinese, stabilendo i limiti della libertà individuale. Proprio sui rapporti con questo potere nascerà uno degli intrecci portanti della miniserie. Soprattutto, l’impostazione che Cajelli e Maconi danno a questo episodio lascia adito a un’evoluzione e uno scioglimento originali.
Il terzo episodio, Il pugno, vede Milano diventare, in modo tangibile, luogo dell’azione, presenza viva della vicenda.
Da molti elementi risulta evidente che il suo rapporto con Long Wei va al di là delle (relativamente) poche tavole che vengono loro dedicate; lo stesso vale per il suo ruolo/carriera nella polizia, che apprezziamo giusto per quello che riesce a fare per aiutare il protagonista, ma che sembra diventare via via più importante. Darle più spazio avrebbe sacrificato altre trame, altri personaggi, a favore di situazioni più facilmente stereotipate? Stesse domande per tanti altri personaggi che hanno popolato le pagine della miniserie: dalla famiglia di zio Toni ai ragazzi usciti dalla banda di teppisti.
Gli autori, da questo albo, cominciano anche a lavorare sull’approfondimento psicologico di Vincenzo Palma, spalla del protagonista (in un ribaltamento voluto dei ruoli tradizionali: protagonista occidentale – spalla orientale) e uno dei personaggi più complessi e meglio riusciti dell’intera miniserie.<img class="aligncenter size-full wp-image-120995" src="http://lospaziobianco.lospaziobianco1.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2014/06/LW-VP.jpg" alt="LW VP Long Wei: il percorso di crescita di una miniserie a fumetti italiana" width="640" height="415" title="Long Wei: il percorso di crescita di una miniserie a fumetti italiana" />
Il quarto numero, L’inferno, ospita una vicenda action-thriller del duo Cajelli-Ascari con alle matite Francesco Mortarino e si mantiene sui binari di una lettura piacevole, segnando comunque uno stop nella crescita della serie. Da ricordarsi soprattutto per l’attenzione ad alcuni piccoli particolari visivi, insignificanti a una prima lettura, ma che avranno un senso nel proseguio della serie.
Il numero cinque, Il leone, diventa il primo tassello fondamentale nella trama orizzontale della testata.
Sempre Cajelli e Ascari, accompagnati stavolta da Valerio Nizi ai disegni, ci offrono un primo, fugace sguardo sul passato di Long Wei, un assaggio di cose a venire, che si palesa anche nella prima apparizione della piccola nipote di Vincenzo, altro elemento essenziale sia della caratterizzazione del personaggio-spalla sia ai fini del movimento narrativo globale.
Milano c’è, è presente, in quella millenaria cultura africana contaminata (sporcata?) dalla società occidentale, che ritroviamo anche sotto i nostri occhi tutti i giorni, in qualsiasi città italiana. La scena finale d’effetto (volutamente) sopra le righe mette in ombra, almeno in prima lettura, il fatto che proprio i rapporti fra comunità culturali profondamente diverse è tema ricorrente. In questo episodio è la volta di quella africana, in seguito avremo personaggi di altre nazionalità, il tutto a mettere in scena una vera balcanizzazione sociale, senza cadere nel bozzetto. Milano diventa quindi caso esemplare di uno scenario dove non si vedono all’opera strategie di integrazione, ma tutto è lasciato all’iniziativa individuale. Il risultato di questa convivenza per giustapposizione nello spazio urbano è la dominanza delle organizzazioni criminali.
Il giro di boa della miniserie arriva con una storia della coppia di autori di Beta, Luca Vanzella-Luca Genovese. Il tempio si snoda attraverso la doppia linea temporale passato-presente, facendo conoscere al lettore quale sia stato il percorso formativo dell’eroe che lo ha definito quale l’attuale portatore di giustizia.
Arriva anche la conoscenza del mentore del nostro eroe e del suo antagonista con il cerchio aperto nel passato che si chiude nel presente con il settimo numero della serie.
Ăˆ molto interessante osservare la scelta narrativa operata sul percorso formativo del protagonista: egli non completa il percorso per diventare un atleta marziale come voleva il maestro, ma va via per inseguire il sogno di recitare. Un altro “ribaltamentoâ€� rispetto alla classica scelta che si ritrova in altri fumetti o opere simili.
Ne Lo scorpione, Diego Cajelli e Stefano Ascari, mettono un punto fermo sul passato del protagonista innescando contemporaneamente il percorso narrativo che porta verso quella che è la conclusione dell’intera vicenda.
Bastano due elementi agli autori per fare ciò: un altro spot su quel personaggio straordinario, in termini narrativi, che è Vincenzo Palma e l’arrivo di un nuovo avversario (Mantegna, losco figuro dei servizi segreti italiani). Lui è lo specchio di quell’antagonista principale di Long Wei, le Tigri, il cartello malavitoso cinese che ha salde in mano le redini del governo della comunità cinese meneghina, e non solo, che gli autori lasciano sapientemente “immaterialeâ€� nella sua reale natura e concretato soltanto tramite le sue “estensioniâ€� (leggasi lacché).Milano è ancora più presente nelle tavole del bravo Jean Claudio Vinci: i suoi scorci urbani dimostrano un’attenta opera di documentazione e desiderio di realismo.
Anche nel numero otto, Le maschere, Cajelli e Ascari giocano sul filo del doppio intreccio narrativo, dando vita a una storia dai ritmi frenetici, relegando schegge fondamentali per lo scioglimento dell’intreccio della serie in particolari la cui importanza emergerà in alle battute finali della vicenda. Ma il fulcro della storia sta in un singolo flashback incentrato sull’antagonista di turno: una scena sobria, priva tanto di dialoghi quanto di retorica che da sola marca un intero albo e sta a significare il profondo lavoro sui personaggi fatto dagli autori.
<img class="aligncenter size-full wp-image-121032" src="http://lospaziobianco.lospaziobianco1.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2014/06/Long-Wei_08-09.jpg" alt="Long Wei 08 09 Long Wei: il percorso di crescita di una miniserie a fumetti italiana" width="640" height="397" title="Long Wei: il percorso di crescita di una miniserie a fumetti italiana" />Il nono numero , La trappola, vede per la prima e unica volta l’azione allontanarsi dalla quinta milanese per spostarsi a Roma, in una periferia difficile segnata dalla deriva urbanistica del nostro Paese che ha creato “mostriâ€� come il Corviale. Diego Cajelli viene affiancato da due autori, giustappunto, romani quali Michele Monteleoni (testi) e Stefano Simeone (disegni). I tre creano una storia con più di un livello di lettura, il più importante dei quali è forse l’analisi della realtà urbana italiana e del malessere sociale che essa può arrivare a creare. Costruito sfruttando come scheletro la struttura di un gioco del genere picchiaduro a livelli, La trappola si svolge con un ritmo frenetico temperato dalle scene in cui si mostrano le premesse di quanto accade.
La linearità del tema “buoni in trasferta contro cattiviâ€� viene stravolta dal finale, che riporta la vicenda entro la trama generale gestita dalle TIgri. Il punto messo in evidenza è che le vittorie dei buoni, che agiscono isolati, sono tattiche, singoli episodi che rimangono sotto soglia critica e non riescono a influenzare le politiche criminali, che hanno una visione ampia e possono addirittura sfruttare le vittorie degli eroi a proprio vantaggio.
L’episodio numero dieci, La commedia, apre un dittico di albi nei quali gli autori pongono Long Wei in una posizione defilata, motore dell’azione ma non centro di essa, quasi a volere preparare, in una sorta di controcanto, il palcoscenico all’eroe nel numero finale. In questo albo Cajelli, Luca Vanzella e Valerio Nizi rimarcano ancora di più sia l’attento studio della continuity interna alla serie, ma soprattutto evidenziano quanto, numero dopo numero la “localizzazioneâ€� italiana dell’intera vicenda, in senso tanto geografico quanto sociale, sia un punto fondamentale di questo prodotto.
Con l’undicesimo numero, La mano, seppur il protagonista rimanga motore passivo (ma necessario) della vicenda si comincia a scivolare verso il gran finale: i nodi dell’intreccio da sciogliere sono tutti lĂŹ, pronti a essere liberati. A Cajelli si affianca alla scrittura Francesco Savino, mentre alle matite torna Francesco Mortarino, in una storia ancor più esagerata e sopra le righe del solito, ma che conferma proprio questo aspetto come riuscita cifra stilistica dell’intera serie, assieme, necessario ripetersi, al suo radicamento territoriale che stavolta si esplica in personaggi che recitano alla stregua di affermati caratteristi e nella citazione di leggende urbane meneghine. Va notato come ad essere sopra le righe sono gli eventi messi sulla tavola; nella loro messa in scena, Cajelli, Savino e Mortarino sfruttano una prospettiva ironica che li rende caratterizzazione d’ambiente (le leggende metropolitane diventano una sorta di elemento identitario, se non iniziatico) e non banale ricerca d’effetto.Si arriva dunque al capitolo finale, l’albo numero dodici, il “gioielloâ€� creato da Diego Cajelli, Stefano Ascari e Gianluca Maconi. Perché gioiello può esserlo anche un orologio e, alla stregua di un perfetto meccanismo svizzero, questa storia vede tutte le tessere del puzzle scivolare al loro posto, i particolari appena notati durante la lettura dei numeri precedenti assumere tutta un’altra luce e sistemarsi perfettamente nell’incastro indicato nella trama generale.In una sorta di richiamo mnemonico al finale di quel, a detta di molti, capolavoro cinematografico che è “I soliti sospettiâ€� di Bryan Singer: nessuna citazione alla pellicola, nessun omaggio, nemmeno visivo, ma sicuramente la certezza della profonda comprensione (magari inconsapevole) di Cajelli e Ascari di quel meccanismo narrativo e la bravura dei due autori nella sua trasposizione nel media fumetto.
In tutto questo si esaltano le tavole di Gianluca Maconi che annullano qualsiasi gabbia strutturale per lasciare spazio a una serie di soluzioni visive che meriterebbero una ristampa dell’albo in grande formato.
Poi c’è grande perizia nel finale: la storia è conclusa, l’intreccio è sciolto, la parola “fineâ€� è appropriata. Ma allo stesso tempo potrebbe esserlo anche la parola “continuaâ€�.
L’analisi di Long Wei
Nella progressiva crescita qualitativa che la serie ha avuto numero dopo numero, c’è stata una costante presente fin dall’inizio: le copertine degli albi. LRNZ ha dato vita a dodici piccoli capolavori, dodici quadri che catturavano l’essenza dell’albo che racchiudevano e che meriterebbero di far compagnia alla storia del dodicesimo numero in una ristampa in grande formato.
Ci sono state anche criticità nel prodotto Long Wei, a cominciare da una qualità di stampa mediocre che certamente ha penalizzato soprattutto la prima metà della miniserie e che, è già qualcosa, è andata migliorando negli ultimi 5-6 albi.
Ci sono poi state, alcune volte, un supervisione e una revisione editoriale un po’ troppo leggere che hanno penalizzato la leggibilità di qualche episodio e che è sicuramente detrimento al livello di una professionalità che oggi, al pari di altri settori, dovrebbe esserci anche nel fumetto seriale popolare.
Di contro, è da rimarcare invece la scelta del parco disegnatori scelti per illustrare i dodici albi. Gli artisti che hanno prestato la loro matita alla serie hanno tutti uno stile che si distanzia molto da quello che potrebbe essere definito il “classico realismo bonellianoâ€�. Nelle tavole di Long Wei si è assistito spesso a una quasi completa negazione della gabbia strutturale della pagina, marchio di fabbrica Bonelli e, allargando il discorso, dei bonellidi, una sorta di liberazione per i disegnatori che spesso hanno avuto uno stile con caratteristiche borderline, al limite con il comico. Quasi sempre efficaci, ma certo molto lontane dalla tradizione del fumetto popolare italiano.
Questo potrebbe essere ascritto a una sorta di marchio di fabbrica dell’Editoriale Aurea, visto che già con John Doe e Detective Dante era stata percorsa una strada analoga.
I più importanti però sono due. La scelta, coraggiosa, di avere come protagonista un immigrato in un Paese straniero nel quale la sua gente rappresenta una minoranza, tollerata ma non ben accetta dal resto della società.
E, ancor più da evidenziare, la scelta di ambientare una serie a fumetti nella realtà contemporanea italiana, radicarla nel vissuto quotidiano che potrebbe essere quello di ogni lettore: in un mondo sempre più “piccoloâ€�, dove basta un click per visitare ciò che un tempo veniva evocato come esotico e lontano, la volontà di raccontare storie di azione e di avventura che si svolgano nel reale di ciascuno di noi acquista un senso e un valore sul quale il fumetto popolare italiano potrebbe riflettere, per innovarsi.
In anni che, se non da un punto di vista di vendite o distribuzione, certamente dal lato della qualità narrativa si possono definire ottimi per i cosiddetti bonellidi (si pensi a serie quali Valter Buio, Dr. Morgue e Legion 75), Long Wei ha aperto una strada: certamente non l’unica, ma di sicuro una da esplorare.
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