Siamo alla diciannovesima puntata della serie di articoli di Luca Moreno sulla storia di Firenze. Le immagini sono numerate in continuità con quelle del diciottesimo articolo.
Lorenzo de’ Medici e la Congiura dei Pazzi
di Luca Moreno
Figura 51: Lorenzo de’ Medici (da Wikipedia)
Lorenzo de’ Medici, il Magnifico (1449 – 1492), oltre a essere un personaggio emblematico dell’età umanistico-rinascimentale, è anche poeta e letterato (figura 51). Anche per lui una sorte analoga a quella vissuta dal giovane Cosimo: curato da insigni maestri, mandato in giro per le corti d’Italia a fare esperienze, allevato come se fosse figlio di un Re. Del resto, abbiamo visto come proprio il nonno Cosimo avesse intuito le sue capacità e come Lorenzo seppe sventare l’attentato nei confronti di suo padre Piero. Il ragazzo quindi era sveglio e capace; e così la Signoria fiorentina, nonostante non avesse ancora sperimentato sul campo tutte le doti di Lorenzo, anche a lui propose di occupare il posto del padre defunto, affinché si curasse delle cose dello Stato. Ecco come Lorenzo stesso racconta questo evento:
«Il secondo dì dopo la sua morte [del padre Piero] quantunque io Lorenzo fossi molto giovane, cioè di ventun anni, vennero a noi a casa i principali della Città e dello Stato, a dolersi del caso e confortarmi, che pigliassi la cura della città, e dello Stato, come aveva fatto l’avolo mio [Cosimo] ed il padre mio [Piero] le quali cose per esser contro alla mia età di gran carico e pericolo, mal volentieri accettai e solo per conservazione degli amici e sostanze nostre.»
Insomma, Lorenzo aveva imparato presto e bene a recitare la lezione di colui che accetta gli onori con riluttanza, facendosi ovviamente pregare. Il potere era ora nelle mani di Lorenzo e di suo fratello Giuliano: erano loro a governare Firenze. Lo Stato avrebbe conservato le sue strutture e la sua amministrazione, ma niente sarebbe stato fatto senza averli consultati: meglio, senza che essi lo volessero. Si provvide poi subito a circondare il giovane Lorenzo, in evidente posizione di preminenza su Giuliano in quanto primogenito, di una cerchia ristretta di fidati, formata da coloro che avevano l’incarico di selezionare i nomi dei candidati alla Signoria, in modo da garantire un quasi assoluto controllo sugli eletti. Non poteva esserci un avvio più rassicurante.
Figura 52: Simonetta Cattaneo (da affinities.net)
Di tutto ciò Lorenzo e Giuliano fanno bella mostra, nel senso che l’austerità dei tempi di Cosimo il Vecchio è ormai cosa passata. Già abbiamo visto la fastosità del matrimonio di Lorenzo con Clarice Orsini nel 1469 e adesso, nel 1475, a rinnovare le glorie di quella giostra di sei anni prima, ecco la grande giornata del fratello Giuliano. Ancora in Piazza Santa Croce, uno spettacolo d’eccezione, una giostra vinta da Giuliano; ma questa volta la dama che appare come ispiratrice del torneo è la bella Simonetta Cattaneo (figura 52), moglie di Marco Vespucci, ma amante dello stesso Giuliano.
Per l’occasione fu realizzato uno stendardo, forse opera di Sandro Botticelli, uno dei più grandi pittori italiani del Rinascimento, in cui Simonetta è raffigurata in un complicato ghirigoro di temi filosofici e mondani, e Agnolo Poliziano, grande poeta dell’epoca, le dedicò le sue Stanze: ma la bella Simonetta morirà pochi mesi dopo, lasciando in Giuliano un dolore incancellabile. I due Medici quindi sono “principi” ammirati e celebri, così come lo sono figure analoghe dei nostri tempi, con la differenza che in quei tempi il supporto massmediologico era costituito da ritratti, celebrazioni, riti, allegorie, versi poetici, insomma tutto ciò che poteva servire a consolidare il mito dei due giovani rampolli.
In questo clima sontuoso e idilliaco esplode in modo del tutto improvviso uno degli eventi più clamorosi del secolo, quale è la Congiura dei Pazzi, che, come adesso vedremo, non riguardò esclusivamente Firenze e i Medici, ma coinvolse molte delle potenze della Penisola – configurandosi quindi come un fatto di politica internazionale -, oltre che ovviamente la famiglia Pazzi, che primariamente la sostenne. La Congiura ebbe luogo il 26 aprile 1478 e si concluse con l’uccisione di Giuliano e il ferimento di Lorenzo, che si salvò solo grazie alla sua destrezza. Abbiamo visto che non era la prima volta che i Medici si trovavano nella condizione di essere attaccati; la Congiura dei Pazzi però fu l’unica che riuscì nell’intento di eliminare un componente della famiglia e portò conseguenze durevoli, in giornate concitate che rimasero indelebili nella memoria dei fiorentini che vi parteciparono.
Non è chiaro se l’idea di una congiura nacque a Firenze, presso la famiglia Pazzi, o piuttosto a Roma, nella mente del loro più importante alleato, Papa Sisto IV. In ogni caso, il progetto di eliminare fisicamente i signori di fatto della città catalizzò tutta una serie di figure a loro avversarie, che si organizzarono nella vera e propria congiura. Con l’elezione al soglio pontificio di Sisto IV Della Rovere (1471), il nuovo Papa, sfrenato nepotista, aveva manifestato infatti interesse a impadronirsi dei ricchi territori fiorentini per i suoi nipoti – tra i quali il Cardinale Girolamo Riario – e per le sue costose opere a Roma, come l’abbellimento e riorganizzazione della Biblioteca Vaticana da lui promosso. Egli inoltre vedeva con occhio sfavorevole le mire espansionistiche dei Medici verso la Romagna, al punto da esautorarli dall’amministrazione delle finanze pontificie, in favore della famiglia dei Pazzi.
Questi ultimi sostenevano che questa scelta papale era dovuta esclusivamente ai loro meriti commerciali, ma il Magnifico, poco disposto a farsi dileggiare, aspettò il momento giusto per vendicarsi di questo smacco assai grave, perché gestire le finanze pontificie portava enorme prestigio e ricchezza, sia dalle commissioni sui movimenti, sia dallo sfruttamento delle miniere di allume dei Monti della Tolfa – in territorio pontificio presso Civitavecchia, le uniche allora conosciute in Italia – sfruttamento che garantiva il monopolio di questo insostituibile fissante per la tintura dei panni e per i colori delle miniature.
Quindi i Pazzi e il Papa erano in stretta alleanza, ma ancora l’idea di una congiura non doveva essersi manifestata; anzi le due famiglie fiorentine, sebbene rivali, si erano anche imparentate con il matrimonio tra Guglielmo de’ Pazzi e Bianca de’ Medici, sorella di Lorenzo, nel 1469. La scintilla che accese gli animi fu invece determinata dalla questione dell’eredità di Beatrice Borromeo, moglie di Giovanni de’ Pazzi, fratello di Guglielmo. Nel 1477, dopo la morte del ricchissimo padre di Beatrice, Giovanni Borromeo, Lorenzo fece promulgare una legge retroattiva che privava le figlie femmine dell’eredità, in assenza di fratelli, facendola passare direttamente a eventuali cugini maschi. Così Lorenzo evitò una notevole crescita del patrimonio dei Pazzi.
Fu probabilmente in quel periodo (1477 circa) che la congiura prese piede, soprattutto per opera di Jacopo, zio dei sopra citati fratelli Giovanni e Guglielmo e di Francesco de’ Pazzi, fratello di questi ultimi. Ad essi si aggiunse Francesco Salviati, Arcivescovo di Pisa, in attrito con i Medici, che avevano tramato per non dargli la Cattedra fiorentina favorendo un loro congiunto, Rinaldo Orsini. La guida di Firenze liberata sarebbe dovuta spettare al nipote del Papa Girolamo Riario. Il Papa si premurò di trovare altri appoggi esterni come la Repubblica di Siena, il Re di Napoli, oltre alle truppe inviate dalle città di Todi di Città di Castello, di Perugia e Imola, tutti territori pontifici. Recentemente è stata scoperta anche una lettera cifrata che proverebbe il coinvolgimento anche di Federico da Montefeltro, Duca d’Urbino.
Figura 53: La villa medicea di Fiesole (da foliamagazine.it)
Il Pontefice raccomandò di evitare spargimenti di sangue, ma questo suggerimento fu ignorato dai congiurati: i due Medici infatti dovevano essere eliminati fisicamente. Il braccio dell’azione, era rappresentato da Giovan Battista da Montesecco. Originariamente il piano prevedeva di uccidere i due fratelli durante un banchetto che essi avevano organizzato a Villa di Fiesole (figura 53) il 25 aprile, usando un veleno che Jacopo de’ Pazzi e il Riario avrebbero nascosto in una delle libagioni destinate ai due Medici. L’occasione del banchetto era data dall’elezione a cardinale del diciottenne Raffaele Riario Sansoni, ignaro delle trame dei congiurati.
Quel giorno però un’indisposizione improvvisa di Giuliano rese vana l’impresa, che fu rimandata al giorno successivo, durante la messa in Santa Maria del Fiore. La domenica, il Cardinale Riario Sansoni invitò tutti alla messa in Duomo da lui officiata, per ringraziare della festa organizzata il giorno prima in suo onore. Alla messa si recarono i Medici e i congiurati, con l’eccezione però del Montesecco, che si rifiutò di colpire a tradimento dentro un luogo consacrato. Vennero allora presi in sostituzione, in fretta e furia, due preti: Stefano da Bagnone e il Vicario Apostolico Antonio Maffei di Volterra. Essendo però Giuliano ancora indisposto, Bernardo Bandini – il sicario destinato a Giuliano – e Francesco de’ Pazzi decisero di andare a prenderlo personalmente. Nel percorso da Palazzo Medici a Santa Maria del Fiore, i due abbracciavano a tradimento Giuliano per vedere se indossasse una cotta di maglia sotto le vesti; ma Giuliano era uscito senza protezioni, privato, a causa di un’infezione a una gamba, anche del “gentile” – nome scherzoso con il quale si usava chiamare il coltello da caccia – perché esso, sbattendo contro la gamba ferita, gli dava fastidio.
Quando arrivarono in chiesa, la Messa era già iniziata. Al momento solenne dell’Elevazione (ma altre fonti dicono: al momento della Comunione) mentre tutti erano inginocchiati, si scatenò il vero e proprio agguato: Giuliano cadeva in un lago di sangue sotto i colpi del Bandini; Lorenzo, accompagnato dall’inseparabile Angelo Poliziano e dai suoi scudieri Andrea e Lorenzo Cavalcanti, veniva ferito di striscio sulla spalla dagli inesperti preti. A quel punto il Bandini tentava di porre riparo al colpo fallito, ma non riuscendoci sfogò la sua rabbia su Francesco Nori, che aveva interposto il suo corpo tra l’omicida e Lorenzo, sacrificando la sua vita e dando la possibilità a quest’ultimo di fuggire e barricarsi in sacrestia.
Intanto Jacopo de’ Pazzi, precipitatosi a cavallo in Piazza della Signoria, incominciò a inneggiare alla libertà ritrovata; ma presto si accorse che aveva sbagliato a valutare la reazione della popolazione fiorentina; infatti, invece di essere acclamato, fu assalito dalla folla che in Duomo e in tutta la città si accaniva contro i congiurati. Le truppe del Papa che attendevano appostate attorno a Firenze, al suono delle campane sciolte si insospettirono e lo stesso Jacopo de’ Pazzi uscì da Firenze portando la notizia del fallimento, per cui non fu sferrato nessun attacco. L‘epilogo fu molto doloroso per i Pazzi e per i loro alleati, tanto che, entro poche ore dall’agguato, Francesco de’ Pazzi, ferito e rifugiatosi nella sua casa, e l’Arcivescovo di Pisa Francesco Salviati penzolavano impiccati dalle finestre del Palazzo della Signoria.
Al grido di “Palle, Palle!”, ispirato al blasone dei Medici, i Palleschi scatenarono infatti una vera e propria caccia all’uomo, che fu feroce e fulminea. Pochi giorni dopo anche Jacopo de’ Pazzi veniva impiccato e anche il suo congiunto Renato de’ Pazzi, nonostante non fosse corresponsabile, ebbe la stessa sorte, e i loro corpi furono gettati in Arno. Bernardo Bandini riuscì a fuggire dalla città, arrivando a rifugiarsi a Costantinopoli, ma fu scovato e consegnato a Firenze, per essere giustiziato il 29 dicembre 1479. Il suo cadavere impiccato fu ritratto da Leonardo da Vinci. Giovan Battista da Montesecco, sebbene non avesse partecipato all’esecuzione materiale della congiura, fu arrestato e, dopo essere stato sottoposto alla tortura, rivelò i particolari della macchinazione, compreso il coinvolgimento del Papa, che egli additò come il principale responsabile: fu poi decapitato.
I due preti assassini furono catturati pochi giorni dopo e linciati dalla folla; ormai tumefatti e senza orecchi, giunsero al patibolo in Piazza della Signoria e qui impiccati. Lorenzo non fece niente per mitigare la furia popolare, così fu vendicato senza che le sue mani si macchiassero di sangue. I Pazzi furono tutti arrestati o esiliati e i loro beni confiscati. Il loro nome non poté più comparire sui documenti ufficiali, e tutti gli stemmi di famiglia furono cancellati dalla città, compresi quelli presenti su alcuni fiorini coniati dal loro banco, che furono riconiati. Giuliano venne sepolto in San Lorenzo.
In un sopralluogo nella sua tomba condotto nel 2004, fu ritrovato il suo teschio con i segni di un profondo taglio nella testa, così come ancora si conservano in un deposito i resti degli abiti insanguinati che indossava al momento dell’attentato. Per Lorenzo, l’agguato e la morte di Giuliano furono un trauma, che lo segnò per tutta la vita, ma che nell’immediato non gli impedì di reagire prontamente a una situazione che era ancora molto pericolosa. Da Roma, infatti, Sisto IV tuonava contro l’arresto del giovane Cardinale Raffaele – che, seppure inconsapevole della congiura, era stato fermato – pretendendone l’immediato rilascio. Avuta da Firenze risposta negativa, il Pontefice ricorse all’arma usata da Roma più volte e spesso con successo e scomunicò Firenze; ma il Papa non aveva considerato che, in questa occasione, il popolo fiorentino era tutto con i Medici. Sisto IV, visto allora l’insuccesso del suo provvedimento, cercò l’alleanza con Ferdinando Re di Napoli e insieme a lui dichiarò guerra a Firenze.
La città visse momenti difficili, con le milizie aragonesi che ormai erano penetrate nel cuore della Toscana. Fu proprio in questa occasione che Lorenzo mostrò un coraggio davvero incredibile, decidendo di partire per Napoli per convincere il Re a desistere dall’attacco. Sarebbe bastato un semplice ordine del Re di Napoli perché Lorenzo diventasse suo prigioniero; e invece, in virtù delle doti oratorie, del suo carisma, della sua voce che, pare, avesse il potere di incantare i suoi interlocutori (nonostante, come è noto, Lorenzo non fosse di bell’aspetto), e in virtù, aggiungiamo noi, della solida argomentazione che al Re di Napoli non sarebbero convenuti una Firenze troppo debole e uno Stato della Chiesa troppo potente, il Re si convinse a rinunciare all’attacco bellico. Lorenzo tornò trionfante a Firenze; come disse Niccolò Machiavelli: «Era partito grande, avendo esposto la propria vita per rendere alla sua patria la pace. Tornò grandissimo!». Firenze era salva e Sisto IV sconfitto. La congiura, a quel punto, era davvero terminata. Nella prossima puntata ci dedicheremo a descrivere la figura di Lorenzo de’ Medici.
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