Lorenzo Spurio intervista il poeta e saggista palermitano Lucio Zinna
Creato il 29 maggio 2014 da Lorenzo127
Intervista a Lucio Zinna
A cura di Lorenzo Spurio
LS: Quale fu il momento nel quale scrisse la sua prima poesia? Da che cosa fu motivato e di quale poesia si trattò?
LZ: Ho iniziato a scrivere versi all’età di quattordici anni. Mi spingeva innanzitutto il piacere di mettere in carta quel che sentivo, al di fuori di obblighi scolastici. Non ricordo il momento in cui scrissi la prima poesia. Mi colpivano in particolare la natura e le stagioni. Mi divertivo a seguire gli schemi metrici, ma tali aspetti tecnici mi distraevano da quel che volevo dire. Circa un anno dopo “scoprii” La fiera letteraria, allora diretta da Vincenzo Cardarelli, e trovai che i nuovi poeti pubblicati non si curavano di metrica e rima: fu un’illuminazione. A sedici anni, nel 1954, iniziai a pubblicare i primi versi su giornali studenteschi.
LS: Leggo dal suo profilo letterario che nel 1965 ha fondato il “gruppo Beta” che fu vicino al più noto “gruppo ‘63”[1], anima della neo-avanguardia italiana. Può dirci di che cosa si occupava il “gruppo Beta” e quali furono i suoi rapporti con i membri del “gruppo ‘63”?
LZ: Nel 1963 si svolsero a Palermo gli incontri tra i compositori di Musica Nova, a cui furono abbinati gli incontri degli scrittori del “Gruppo 63”. Seguii incuriosito i primi e i secondi. Non mi venne in mente di modificare il mio modo di scrivere. Nel 1964 uscì la mia prima plaquette, Il filobus dei giorni, che raccoglie poesie dal 1955 al 1963, ossia dal mio 17° al 25° anno di età. Ma in quell’anno il seme di quegli incontri germogliò. Nel 1965 diedi vita al “Gruppo Beta”, con Giovanni Cappuzzo, Angelo Fazzino, Miki Scuderi e altri, attivamente partecipando ai dibattiti del “Gruppo 63” che si tennero ancora a Palermo. Mi avvicinai a Michele Perriera e Gaetano Testa (due autori de “La Scuola di Palermo”) e al compositore di musica elettronica Salvo Sciarrino. Il “Gruppo Beta”, nato in quel clima, non fu satellite del “Gruppo 63”, con cui condivideva l’esigenza di un rinnovamento linguistico ma rifiutava il neoformalismo e muoveva alla ricerca di un nuovo umanesimo, scientifico e onnicentrico, cosa di cui il “Gruppo 63” non si curava.
LS: Molti poeti del secondo Novecento furono in un certo modo attratti, coinvolti o influenzati dalla neo-avanguardia. Il poeta napoletano Ugo Piscopo[2], pur non partecipando nel 1963 all’incontro di Palermo dove si costituì il celebre “gruppo ‘63”, fu legato al loro modo di far letteratura e intrattenne rapporti di stima ed amicizia con alcuni esponenti del gruppo. Quanto crede che gli esperimenti ed i motivi intenzionali dei “Novissimi” e della “Linea Lombarda” furono importanti per la letteratura italiana? Perché?
LZ: La neoavanguardia riuscì a smuovere, in qualche modo, le acque stagnanti della vita letteraria italiana, in quel periodo. Una sberla salutare. Purtroppo, ingenerò in parecchi l’erronea convinzione che bastasse frantumare il linguaggio per essere originali. La Linea Lombarda è stata altra cosa; pur con i suoi innegabili meriti, forse è stata sopravvalutata.
LS: Charles Bukowski (1920-1944), considerato l’ultimo dei “poeti maledetti” è un autore che negli ultimi decenni è stato rivalutato e letto in maniera più attenta; la critica, tanto di lingua inglese che in altre lingue, gli ha dedicato un più ampio studio sebbene prevalgano ancora oggigiorno visioni molto differenti sulla sua produzione: tra chi prova disgusto e condanna la mancanza di una visione morale nelle sue e chi, invece, ne fornisce una lettura psicodinamica, indagando aspetti antropologici e sociologici del personaggio-alter ego, il celebre Chinaski. In molti hanno tentato addirittura di darne un’interpretazione politico-ideologica del personaggio, finendo per marchiare l’autore anche di accuse poco felici e difficilmente dimostrabili. Sebbene l’autore sia principalmente noto per la narrativa[3], Le propongo qui una sua poesia, intitolata “sicurezza”[4] sulla quale sono a chiederLe un commento:
la casa dei vicini
mi rattrista.
marito e moglie si alzano presto
e vanno al lavoro.
tornano a casa nel tardo pomeriggio.
hanno un bambino e una bambina.
alle 9 di sera le luci della casa
si spengono.
il mattino dopo l’uomo e la donna
si alzano di nuovo presto e vanno
al lavoro.
tornano nel tardo pomeriggio.
alle 9 di sera tutte le luci
si spengono.
la casa dei vicini
mi rattrista
quella gente è brava gente,
mi piacciono.
ma sento che affogano.
e non posso salvarli.
sopravvivono
non sono dei
ma il prezzo è
a volte durante il giorno
guardo la casa
e la casa guarda
me
e piange,
sì, davvero, la sento
la casa è triste
per la gente che ci vive
dentro
e lo sono anch’io
e io e lei ci guardiamo
e auto vanno su e giù
per la strada,
barche attraversano il porto
e gli altri alberi di palma
rovistano il cielo
e stasera alle 9
si spegnerà la luce,
e non solo in quella
casa
e non solo in questa
città.
vite scure si nascondono,
quasi
si fermano,
corpi che respirano e poco
d’altro.
LZ: Bukowski è un autore eccezionale, la cui opera si correla al suo stile di vita. Nel testo proposto egli compiange i tristi giorni di suoi vicini di casa dediti al lavoro senz’altra prospettiva che la sopravvivenza, con sottesa contrapposizione allo schema anarcoide della sua esistenza. Nel 1984 curai un ciclo di trasmissioni radiofoniche sui “poeti maledetti” per RAI-Sicilia, inserendo nel programma la lettura della poesia di Bukowski “Padre nostro che sei nei cieli”, che non è una preghiera. Il poeta parla del padre e del suo scopo di acquistare una casa da lasciare al figlio, affinché questi ne comprasse poi un’altra e così via. Il padre morì giovane e lui “sbolognò” subito la casa e i risparmi ereditati. Il testo colpì gli ascoltatori, parecchi telefonarono, uno parlò di “poesia anti-immobiliare”. Bukowski fu un bohémien conseguente (anche quando gli arrise il successo). La sua poesia è uno schiaffo all’etica borghese e al principio-cardine dell’economia americana: il profitto innanzi tutto. Essa è un paradossale vademecum per vivere in pura perdita, illustrato dalla vita stessa del poeta (azzardato, ovviamente, prenderlo alla lettera, a principiare dall’etilismo).
(Nella foto: assieme al poeta e scrittore Lucio Zinna a Palermo nel maggio 2013)
LS: L’idea di questa intervista è quella di poter diffondere le varie interpretazioni sulla Poesia e in questo percorso ho ritenuto interessante proporre a ciascun poeta alcune liriche di validi poeti contemporanei viventi, ampiamente riconosciuti dalla comunità letteraria e dalla critica per richiedere un proprio commento-interpretazione. La prima poesia che Le propongo è “E sarà di nuovo giorno”[5] di Marzia Carocci[6], poetessa, scrittrice e critico-recensionista ampiamente impegnata per la diffusione e la promozione della cultura, soprattutto nella sua città d’origine, Firenze:
Fiori nasceranno fra le pietre
e aurore brilleranno su nel cielo
stanca di pianti e nostalgie del cuore
è tempo di disperdere il dolore.
Riprenderò i sorrisi che ho perduto,
e i sogni sceglierò per farne vita,
colori a tinte forti sui vestiti
e fiocchi colorati fra i capelli.
Adesso sono sveglia
dal grigio mio torpore
riprenderò a cantare
canzoni sull’amore.
Ad ogni passo fatto
di danza sarà il tempo
e d’ogni fiore colto
l’olezzo sarà il vento.
Non sono più bambina,
né giovane ragazza
ma il tempo che è passato,
lo voglio trasformare.
Asciugherò le lacrime
dei pianti che ho nel cuore
e timide speranze
di nuovo coltivare.
Perché non è finita
finché ritorna il giorno
che limpido c’invita
di nuovo a un altro sogno.
LZ: È una poesia di renaissance. Ricca di buoni propositi. I buoni propositi non bastano da soli a far poesia (come quelli cattivi), ma – detti bene, come in questo caso – possono aiutare i poeti e i lettori a vivere meglio. A «scegliere i sogni per farne vita», come scrive la poetessa. I sogni sono importanti. Borges ebbe a dire, in un convegno milanese nel 1984, che il suo era il caso di un sognatore che deve essere fedele ai propri sogni, addirittura più che alle proprie idee.
LS: Di seguito, invece, Le propongo una poesia dall’impronta speranzosa e profetica della poetessa Anna Scarpetta[7] intitolata “Verranno nuovi tempi”[8], di stile e contenuto molto diverso dalla precedente e sulla quale sono a chiederLe un suo commento:
Verranno nuovi tempi
a dirci cose mai dette prima
a parlarci dentro, noi così malati di consumismo.
E, noi così resistenti all’indifferenza, ascolteremo
con la grande voglia di cambiare o di migliorare.
Noi così forti di egoismo, eppure fragili,
tanto fragili da regredire dinanzi
alle illusioni divenute sogni gracili in sordina.
Verranno nuovi tempi
di grande benessere e prosperità per chiunque.
Sarà la lunga risalita della nostra fede,
sarà il grande faro universale dinanzi alle mere utopie.
Cadranno, come miti, le lusinghe assieme alle menzogne
e si piegheranno le insidie dinanzi al forte orgoglio.
Soltanto la verità avrà il primato di guidare
l’umanità, con estrema destrezza e parsimonia.
Saranno i giorni più attesi e i più amati mai avuti.
Saranno le nuove albe desiderate in cuore,
con immense preghiere e lunghe veglie sofferte,
di ciascun di noi in questo mondo.
LZ: Una poesia davvero “speranzosa”. È augurabile che vengano «nuovi tempi / di grande benessere e prosperità per chiunque». Intanto, uscendo dalla crisi (non solo) economica in atto, che mi pare stia malamente curando la malattia del consumismo denunciata dalla poetessa. Ma ancora tanti sprecano e tantissimi campano d’aria. I tempi nuovi auspicati saranno, si spera, segnati da un modo nuovo di vedere e di vivere la realtà, al di fuori delle illusioni, dell’orgoglio, delle menzogne. Sarebbe il vero ritorno alla mitica ‘età dell’oro’ sognata nel mondo classico e cantata dai poeti. Quella di oggi mi pare piuttosto l’età dei ‘Compro oro’: c’è una bottega ogni tre metri.
LS: Elio Giunta, studioso palermitano, ha dedicato un saggio dal titolo Lucio Zinna e la lezione esemplare di Sagana[9] a una delle sue opere poetiche iniziali. Il saggio, accurato e tecnico, fornisce alcuni spunti per la lettura di Sagana (1976). Perché scelse questo titolo per una silloge di poesia e quanto significò per Lei la pubblicazione di questa opera nella sua carriera letteraria successiva?
LZ: Conclusa nel 1971 l’esperienza del “Gruppo Beta”, ripresi dopo un lunga pausa con Un rapido celiare (1974): pochi testi del periodo sperimentale e altri successivi in cui tentavo una rentrée nei miei consueti moduli espressivi, pur avvalendomi dell’esperienza acquisita. Tale linea stilistica trovò due anni dopo con Sagana più solidi esiti, ai quali fa riferimento Giunta. Dodici poesie inedite, seguite da un’antologia retrospettiva. Il titolo si riferisce a una zona collinare del palermitano, ancora immune, in quegli anni, dall’avanzata del cemento che stava sconvolgendo Palermo, dove vivevo. Un simbolo di serenità. Di tale luogo, accessibile ma di difficile fruizione in tempi di impossibili arcadie, non c’è traccia (quasi “lucus a non lucendo”) nelle poesie; agli antipodi, ce n’è parecchia del disagio esistenziale. La silloge mi aiutò molto a farmi conoscere. Fra l’altro, Giuseppe Zagarrio ne mutuò alcuni punti nodali per l’analisi delle “categorie della sicilitudine” nel suo volume sulla poesia italiana 1970-80: Febbre furore e fiele (Mursia, 1983).
LS: Lei si è occupato moltissimo e con serietà anche di critica letteraria spaziando a vari tipi di analisi, di autori e periodi letterari investigati. Tra i vari saggi mi ha colpito il titolo di uno di essi pubblicato nel 2008, Perbenismo e trasgressione nel Pinocchio di Collodi che, credo, sia una lettura estremamente curiosa su un classico della letteratura per l’infanzia e non solo. Può dirci come è nata l’idea di questa indagine e come è strutturato?
LZ: Il famoso libro collodiano è osservato con l’occhio rivolto alla pedagogia del tempo: conformista ma con rilevanti istanze di rinnovamento a livello nazionale e internazionale. Nel Pinocchio i «ragazzini per bene», benché invisibili, sono il contraltare del burattino, dai modi spesso censurabili. L’elencazione dei loro comportamenti, additati all’imitazione, li rivela eterodiretti (da genitori, maestri, fate, grilli parlanti, merli e pappagalli) e «avvezzati» a logiche adultiste: burattini di carne, espropriati della loro infanzia, il cui spazio è recuperato da un burattino imbambinato. Questi, imparando invece a sue spese a servirsi dell’esperienza e a non comportarsi da “grullo”, riuscirà ad “incarnarsi”, con innegabili vantaggi, forse per imburattinarsi veramente.
LS: L’universo delle riviste letterarie negli ultimi anni ha subito una battuta d’arresto con la grande diffusione di blog, siti e periodici online e solamente le riviste più radicate non hanno risentito di questo contraccolpo. Lei è stato particolarmente attivo anche in questo mezzo di espressione quale redattore capo di Sintesi (1977-1982), condirettore di Estuario (1979-1981) e direttore dei “Quaderni di Arenaria”. Per quale motivo negli anni ’80 mise fine alla sua collaborazione alle riviste Sintesi ed Estuario e che cosa ricorda di quella fase come direttore editoriale?
LZ: Il mio impegno redazionale in alcune riviste letterarie mi ha consentito di guardare al mondo delle lettere in maniera più dinamica e, per così dire, omnicomprensiva. Si scoprono più facilmente i reali meriti al di fuori dei clamori orchestrati, le magagne etc. Ho collaborato come redattore e condirettore a Sintesi ed Estuario dalla loro fondazione alla loro cessazione. Arenaria chiuse dopo dodici anni, nel 1997, perché era cresciuta tanto da richiedere irrealizzabili spese gestionali. Il successo fu il principale motivo della chiusura.
LS: Nella dura realtà dell’oggi, dove raramente si avanza e ci si fa notare per questioni di merito, condizione stagnante gravata dalla contingente situazione economica, quale pensa possa essere il futuro dei poeti che credono molto nelle loro idee, ma che ricevono deludenti feedback e di pubblico, di critica e soprattutto di vendita? Quale consiglio si sente di dare loro?
LZ: Di proseguire per la propria strada, se si è realmente motivati. Di pensare alla poesia, alla sua autenticità costitutiva, non occupandosi granché di quanto possa confonderla con altro (le vendite, ad esempio). La poesia non muore, per quanto brutti possano essere i tempi. È nell’uomo, vive con lui, nella sua interiorità. I poeti veri continueranno a parlare a chi vorrà e saprà ascoltarli.
Bagheria (PA), 15 luglio 2013
[1] Il “gruppo ’63” fu una pattuglia della neo-avanguardia italiana che venne fondato a Palermo con l’idea di distanziarsi dal classicismo retorico dominante, rivalutare il futurismo e proporre una letteratura sperimentale. Gli esponenti principali del gruppo furono Luciano Anceschi, Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Giorgio Celli, Umberto Eco, Elio Pagliarani, Eduardo Sanguineti e Amelia Rosselli.
[2] Per maggiori informazioni sul poeta si legga la sua biografia nel capitolo-intervista a lui dedicato.
[3] L’autore resta principalmente noto per tre romanzi: Post Office (1971), Faqtotum (1975) e Women (Donne, 1978) tradotti in tutte le maggiori lingue al mondo.
[4] Charles Bukowski, Il Grande, Milano, Feltrinelli, 2002, pp. 155-157.
Si noti che la mancanza di maiuscole dopo il punto è una scelta dello stesso autore.
[5] Marzia Carocci, Némesis, Torino, Carta e Penna, 2012, pp. 24-25.
[6] Per maggiori informazioni sulla poetessa si legga la sua biografia nel capitolo-intervista a lei dedicato.
[7] Anna Scarpetta è nata a Pozzuoli (Na) nel 1948. Ha vissuto molti anni a Napoli dove ha studiato alla Scuola di recitazione e spettacolo. Si è sempre dedicata alla poesia, narrativa e saggistica. Ha collaborato con numerose e prestigiose riviste culturali, è stata presidente onorario per la Città di Napoli del MOPEITA (Movimento per la diffusione della poesia in Italia), è membro honoris causa a Vitae del Centro Divulgazione Arte e Poesia. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e prestigiosi premi in molti concorsi letterari. Per il genere poetico ha pubblicato Poesia (Ed. Gabrieli, 1985), Frantumi di tempo (Ed. Lo Faro, 1991), L’altra dimensione della vita (Ed. LibroItaliano World, 2004) e Le voci della memoria (Ismeca, 2011). Molte sue poesie sono, inoltre, presenti in varie opere antologiche.
[8] Anna Scarpetta, Le voci della memoria, Bologna, Ismeca, 2011, p. 31.
[9] Elio Giunta, Lucio Zinna e la lezione esemplare di Sagana, Palermo, Centro Pitrè, 1977.
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