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Lorenzo Viani, Angiò e la vita del romito.

Da Paolorossi

Per molto tempo Angiò fece la vita del romito di Aquileia: solo, rasente del mare, ruscolava gli straccali del Magra; fogliame di selva, radiche di canne, ceppatelle d'ontani, barbe di castagni, pacciane, e ossa di bestie che la piena del fiume ruinava nel mare. Tutto Angiò buttava in un corbellone più alto di lui che soppesava faticosamente alla capanna sudato come una bestia.

La capanna d'Angiò era a ponente, tra la ciuffaia delle pagliole, ma qualche volta lui, desioso di pace, si buttava a levante e si spingeva fino ai ciglioni del Serchio.

Da levante Angiò si sentiva più sicuro perché il mare, a cagione delle gettate turbinate dalla corrente, straccava a ponente e la gente correva tutta là.

Angiò le mattine che si buttava a levante, si metteva a tracollo lo zucchetto dell'acqua e una sacchetta di crostelli di pane duri come sassi, perché lui bramava cibarsi di pan secco: ─ Gratta le gengive ─ diceva tra sé ridendo. ─ Se il mare bollisse ci sarebbero molti pesci per companatico.

[...]

( Lorenzo Viani, tratto da "Angiò, uomo d'acqua", 1928 )

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