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Lorenzo Viani, Il Carducci e gli  «arruotini impazziti»

Da Paolorossi

Un pomeriggio di qualche anno fa, in compagnia del vecchio amico Brilli, passeggiavo sull’argine di un fiume, difeso dai veicoli che transitavano sulla via maestra da una fitta piantagione di pioppi, inghirlandati di pampini, quando un ciclista, sbisciando tra un albero e l’altro, con la ruota anteriore frisò il pastrano del Brilli; egli vecchio, ma impetuoso, gli urlò:

– Arruotino impazzito!
– Questa la passo al libro maestro, – dissi.
– Ma non è mia, rispose ancora incollerito il Brilli; – è di Giosuè Carducci.

Seppi così che Giosuè Carducci non poteva soffrire i ciclisti, e quando ne scorgeva qualcuno infarinato o inzaccherato sulle vie emiliane gridava: – Arruotino impazzito!

Viareggio - Un gruppo di ... velocipedisti - Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri N.18-marzo 1997

Viareggio – Un gruppo di … velocipedisti – Foto tratta da Nuova Viareggio Ieri N.18-marzo 1997

Nei giorni primaverili, quando i cimiteri di campagna sembrano giardini, e i passeri cantano e bezzicano sui vialetti cipressati, e dai cancelli si scorgono i bovi andar sui campi rosi come nuvolette bianche portate dal vento marino, si sostava sovente in quei Campisanti a leggere le epigrafi. Questo era il mio compito perchè, all’estremo margine della sua vita, il Brilli era quasi cieco.

Il Brilli, col cappelluccio floscio calato sugli occhiali e le mani poggiate sul manico del bastone, ascoltava attento come se dovesse imparare qualche cosa.

Leggevo: «L. M., a dì 20 febbraio 1856 diventato cittadino del cielo, per mano vendicativa».
– Sì!… – diceva con certa gravità il Brilli.
«Fermati passeggero se cristian ti appelli.»
– Sì! … Vedi? Carducci odiava le epigrafi. Poi ne riparleremo.

Giosuè Carducci aveva messo nell’animo dei suoi scolari il terrore dello scrivere vano e del parlare vano. Ugo Brilli parlava sempre con ardore e gravità di ogni cosa. Mi confessava che, pensando a Grosseto di Maremma, immensa culla di fierezza, di grandezza e di dolore, la commemorazione del Maestro, aveva sempre davanti agli occhi l’ombra accigliata di lui. E parlò del Maestro con modestia e purità di cuore, – come in modestia e purità di cuore lo aveva avvicinato per molti anni in Bologna, – virtù indispensabili a chi vive presso i grandi per conoscerli veramente e degnamente.

– Dunque ti ho detto che Giosuè Carducci odiava le epigrafi. Ascolta: le epigrafi, come ben dice l’Orioli, sono, per consentimento dei dotti, il più modesto genere di componimento rettorico, e sono contente le più volte di adornarsi soltanto della semplicità, della chiarezza, della brevità, della efficacia…. Parole, ma il guaio è che, come diceva il Carducci, «si commette al letterato di far l’epigrafe come al marmista di fare il coverchio….». Poi vedrai quale orrore avesse egli per le epigrafi.

Ritornando in paese, spesse volte ci si rinfrescava in una osteriola di campagna dove abitualmente stazionava una combriccola di pittori, artigiani, antiquari, rigattieri, procaccini, ambulanti, i quali filosofeggiavano sempre seduti al medesimo tavolo. Noi ci si alluogava a un tavolo da refettorio color fegato. Sul tavolo della combriccola loquace c’erano libercoli, dispense, riviste, sommari, estratti, poligrafati, vino e liquori. Rimasi assai stupito nell’osservare che il Brilli ascoltava attentamente i discorsi che si facevano a quel tavolo. Quando fummo usciti, e dopo aver fatto una diecina di passi, il Brilli mi disse, tra l’indignato e lo sconsolato:

– Di’ un po’ su: e chi sono tutta quella manica d’imbecilli?
– Arruotini impazziti! –

Al calcio di un leccio c’erano una ventina di biciclette poggiate una sull’altra.

Di sotto a una galleria di verde si ritornava verso casa, e io, sapendo che il Brilli lo gradiva, gli dicevo dei brani di epigrafi, d’epitaffi, di scritti succinti:

«Matteo Civitali rese loquaci i marmi a parlare della sua perfezione».
«A Girolamo Segato – al nuovo genio della creatrice sapienza italiana che le umane spoglie – dall’ugna al capello, dalla fibra all’ossa, dal cerebro al sangue – colla splendidezza dei natii colori – pietrifica elasticizza ineterna»….

– Ripeti, – e il Brilli batteva forte forte il bastone in terra. Ma quello che lo faceva ringiovanire di dieci anni era un fattarello che mi era accaduto qualche anno prima in un paesetto nel cui tempio v’erano alcuni affreschi del mio primo maestro, Michele Marcucci.

Narravo: «Appena messi piede nel paese vidi una pietra su cui erano scolpite e dipinte in nero queste parole: – Chi bestemmia è un vigliacco.

Entrato nel tempio rivolsi il capo verso la cupola; il rettore, vedendomi così interessato ai dipinti, mi chiese se fossi stato, al caso, un pittore.

– Sono stato allievo dell’autore degli affreschi.
– Era un sant’uomo.
– E come si comportano, reverendo, i parrocchiani? – domandai.
– Non ci sarebbe male, ma sono una massa di vigliacchi.

 E si passava in rassegna le epigrafi rapidissime:

«L. G. in un’ora visse, pianse e morì». «Mio nome doveva essere G. A. Nacqui ebbi l’acqua cristiana e morii». «L. B, respirò aspirò sperò spirò».

Era l’ora in cui gli arruotini impazziti dalla città ritornavano alla campagna e noi s’era costretti a camminare sui vialetti riservati ai soli pedoni sui quali tuttavia davano delle piallate circolari le ruote dei cicli e per temenza d’essere arruotati dovevamo interrompere i nostri discorsi.

Oggi rovistando tra le carte di Ugo Brilli ho potuta spiegare l’arcano dell’odio carducciano per le epigrafi. Là, verso il 1894, Ugo Brilli aveva mandato al Carducci a emendare l’abbozzo di una epigrafe,  almeno da questi appunti pare si tratti di un abbozzo, dietro i quali con una calligrafia discretamente nervosa ci sono segnati i pareri del maestro.

Dice l’epigrafe:

«Tra le donne eroiche d’Italia – Che negli anni tristi del servaggio vilissimo – Pensarono tacquero piansero – Patirono operarono e fecero – Ricordiamo – Caterina Scordino Plutino – Figliuola e nipote di Agostino e Antonino – Fiori del patriottismo calabrese – Giovinetta – Osò difendere in faccia al Borbone – L’esistenza del padre proscritto e condannato – Durò tutta la vita – Anche nelle afflizioni della sventura – Immacolato forte stupendo esempio – Di donna moglie e madre italiana – La notte del IV gennaio MDCCCXCIV – Dell’età sua cinquantanovesimo moriva all’improvviso – Santamente proferendo – Pregate pregate!».

«Caro Brilli. Pol., 12 ott. 1894.
Ho segnato quelle che a me paiono pècche di ridondanza. Patriottismo è vocativo nuovo, non direbbero gli epigrafisti puri, da epigrafe…. non vo correggere perchè proprio non so. Ti prego di non far nè anche trasparire o trasentire che io abbia riveduto. Odio le epigrafi per molte ragioni, ma speciali perchè sono un’opera di commissione. Si commette al letterato di far l’epigrafe come al marmista di fare il coverchio.

Lessi con molto interesse le tue ultime lettere. Scrivimi di te. Qui l’autunno è bello e ci sarebbe da leggere. Il 22 sarò a Roma. – Tuo Giosuè Carducci».

Una epigrafe, breve, efficace, bellissima, ha scritto Ugo Ojetti, non per commissione, ma per amore al suo professore Ugo Brilli. L’iscrizione è da tempo graffita sul basamento ove posa un busto del Brilli vigorosamente modellato, scalpellato dallo scultore Alfredo Angeloni.

Non è il caso di dire che questa scultura vada da Erode a Pilato perchè è da mesi e mesi compiuta nello studio dello scultore, – al Giannotti di Lucchesia: – nè vi sono livelli sopra perchè il magnifico blocco statuario da cui è stata cavata fu donato dal sen. Albicini, legato al Brilli da amicizia fraterna e lo scultore ha lavorato per l’amore e per la gloria.

Nè manca la fervida adesione di Sua Eccellenza il ministro dell’Educazione Nazionale Balbino Giuliano e di moltissimi uomini di lettere.

Manca di scegliere un paio di metri quadrati di terreno nei giardini pubblici e dire risolutamente:

«Lo collochiamo qui!».

Anche se nella vecchia pista che li delimita frullano, a giornate sane, degli arruotini impazziti.

 

( Lorenzo Viani, Il cipresso e la vite )


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