Quante cose miracolose e strane sono accadute dentro e intorno alle mura di Lucca: vi giunse prodigiosamente il simulacro del Crocifisso detto il Volto Santo, vi entrò trionfalmente l'imperatore Ottone, di sotto l'arco della porta Sant'Anna passarono le armate lucchesi dirette in Terra Santa alla conquista del Santo Sepolcro, di sotto l'arco della porta San Pietro passò baldanzoso Uguccione della Faggiola per stabilire la sua tirannia nella città stremata di forze, Castruccio Castracane, di poi, vi stabilì la sua assoluta signoria: nel tempo Lucca fu venduta a Gherardo Spinola genovese, e da questo rivenduta ai Rossi di Parma, e da costoro rivenduta a Mastino della Scala signore di Verona. Per parecchie volte Lucca andò in procinto d'essere sterminata dalla peste, dalla carestia, dal colera. Ma nonostante questo la Toscana tremò, ma Lucca mai!
E come poteva tremare una città che custodiva nel suo Duomo il Volto Santo scolpito da San Nicodemo (che si trovò presente alla deposizione della Croce) nel bosco di Galaad sul monte Cedron presso Gerusalemme? Ogni lucchese sapeva che dal luogo stesso scaturì una prodigiosa sorgente d'acqua salutare che, bevuta da qualunque infermo, egli veniva all'istante risanato, e non ignorava che quando il barbaro padrone del monte Cedron pensò di chiudere con recinto la prodigiosa fonte, a fine di vendere a caro prezzo quell'acqua miracolosa, la fonte disseccossi nè mai più ricomparve.
[...] Era da poco consacrato vescovo di Lucca il Beato Ossequienzo, a cui doveva succedere dopo anni quattordici San Frediano, il quale deviò il corso del Serchio tagliando il fiume con un rastrello onde evitare che Lucca fosse un dì o l'altro inghiottita dal dilagare delle acque, quando Lucca fu cinta d'assedio dall'esercito di Narsete e Belisario, generali di Giustiniano, spediti da esso in Italia per scacciare gli Ostrogoti. Caduti ormai tutti i Castelli che dominar si potevano dall'alto delle mura, Narsete pensò che Lucca doveva cadere d'un sol colpo come le rape; ma così non fu; i Lucchesi ricorsero ai temporeggiamenti sperando nell'aiuto dei Franchi che potevano giungere da un momento all'altro.
Gli assedianti chiesero ed ottennero un centinaio di ostaggi lucchesi e pattuirono: "Se dentro giorni tre voi Lucchesi non vi arrenderete, noi decolleremo i vostri ostaggi".
Al tramontar del sole del terzo dì Lucca significò a Narsete che non si sarebbe arresa e che disponesse a suo talento la sorte degli ostaggi.
Narsete, comecchè fosse consigliato ad uccidere gli ostaggi dinanzi agli spergiuri Lucchesi, inclinando alla misericordia e riguardando iniquità la punizione di questi innocenti pei colpevoli, ordinò si conducessero gli ostaggi sotto le mura di Lucca, intimò di bel nuovo ai cittadini l'adempimento delle promesse minacciando di morte i loro parenti. I Lucchesi risposero non volerle adempiere.
Narsete, facendo porre dei collari di legno, controfoderati di stoffa del colore medesimo delle schiavine al collo degli ostaggi, affinchè non ne avessero alcun nocumento, ordinò al carnefice che fossero tutti decollati. Il carnefice levando il braccio in alto perchè i Lucchesi, assiepati com'erano sulle mura, vedessero la sua mano che impugnava la spada punitrice, vibrò orribili colpi sul collo dei miseri ostaggi, i quali fingevano stramazzare per terra urlando e ululando morire. Il carnefice e gli ostaggi fecero sì bene la loro commedia che all'improvviso un gran pianto dirotto, urli, gemiti e voci disperate si alzarono tosto dalle mura gremite di popolo.
- Spietati, quei miseri sono nostri parenti, voi gli avete decollati: siate maledetti in nome di Dio! - così i Lucchesi tanto disperatamente gridavano.
- Saprò ben io risuscitarli se manterrete la vostra promessa, - urlava il carnefice.
- Sì, sì, la manterremo la nostra promessa, - ripigliavano addolorati i Lucchesi, - ma tu, carnefice, come farai a mantenere la tua promessa che i nostri parenti li hai così barbaramente decollati?
Il carnefice saltò nella fossa e ordinò agli ostaggi di camminare liberi e svelti davanti ai loro parenti, sperando così che calasse il sipario di quella brutta commedia.
Quando i Lucchesi videro gli ostaggi con la testa sul loro busto, non vollero più darsi per vinti a Narsete adducendo che la risurrezione era avvenuta per miracolo dei Santi protettori di Lucca e non per magica potenza di un carnefice mercenario, e che da questo segno manifesto della protezione del cielo su Lucca il tiranno doveva tremare di vergogna e paura.
A tale e sì stupenda novella le campane di tutte le chiese di Lucca suonarono simultaneamente dei doppi festosi, tanto che Narsete e il suo esecutore di giustizia, di sugli spalti, si fissarono sbalorditi.
Narsete, fissò negli occhi il carnefice: - Ma abbiamo ragione noi o hanno ragione i Lucchesi?
Il carnefice fece un gesto come per dire: - Io non mi comprometto.
I crudi soldati che a destra portavano lo scudo, la spada a sinistra, senza lorica, senza celata, nudi fino alla cintura, dalla quale calavano i loro calzoni di tela di lino e di cuoio, ammucchiati nei catrafossi che cingevano Lucca come orride spelonche affissando le mura affollate digrignavano i denti come mastini.
Narsete, dopo essere stato solo in lunga meditazione, disse al carnefice: - Sciogli gli ostaggi e rimandali alle loro case, altrimenti c'è da dare in mattia.
Il dimani i Lucchesi commossi aprirono spontaneamente le ben munite porte e Narsete vi stabilì Buono, costituendolo Duca di questa città a cui Probo aveva messo la prima pietra delle inespugnabili mura.
(Lorenzo Viani, Il nano e la statua nera - Un carnefice che faceva risuscitare i decollati - Vallecchi, 1943)