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Lorenzo Viani, Maggiano (Lucca) – Lonferno

Da Paolorossi
Panorama dal Monte Quiesa

Panorama dal Monte Quiesa

Tre donne vestite di nero, tritando Ave e Pater, salgono l’erta del monte di Quiesa. In vetta rosseggiano boschi di rossi albatrelli avido becchime degli uccelli.

Una calda mareggiata d’olivi avvalla verso il piano lucente di lame e di falaschi. Il mare è là sfumato di vapori. Campane a festa ovunque, Carignano, Nozzano, La Certosa. I quercioli e i castagni della selva imminente profumano il sentiero.

Le tre donne luttate strascicano il peso delle loro preoccupazioni; una guida il rosario e le altre rispondono, il giallo itterico di quei volti contristati e il bianco smaltato degli occhi par disdacano il sole. Anche dei signori, estraniati gli uni dagli altri, vanno su su gobboni con le mani annodate dietro la schiena. La mèta di tutti è un casone recinto d’un’alta muraglia che trasuda gelo come una cisterna. Lassù non s’odono più i soavi cantileni della natura. Qualche foglia morta cala lenta sul viale di ghiarella.

Un uomo vestito di cielo turchino raspa con l’unghie la ghiaia e la netta del pacciame: gramigna, ortica, ingrassa porci. È primavera, ma le mortelle e l’edere abbarbicano sulla muraglia l’inverno. La gente che aspetta d’entrare nel recinto è taciturna. Un cancello verde con sbarre di ferro traversali è dato volta con un catenaccio lucente. Nel tedio la gente ciampica la ghiaia come nel fondo di un pozzo.

Maggiano - Ingresso ex Ospedale Psichiatrico

Maggiano – Ingresso ex Ospedale Psichiatrico

Dentro il casone sembra abitino i morti: silenzio intorno, in alto. Alle dieci il cancello è spalancato da un uomo vestito del colore della muraglia con delle ditate di cobalto marino sul bavero, il bianco dei polsini e del colletto gela la carne di cera.

La gente sale un viale cipressato, la ghiaia sollevata sembra un nembo di grandine. Appena s’apre la chiudenda che immette in un cortile bollente di sole di sotto una bassa arcata s’ode una fragorosa risata. Ma l’uomo non è visibile tra i colori violenti dei monti sangue e viola e il bianco calce lattata della parete. La risata pare scialbata viva nell’intonaco.

Alle basi delle colonne sono aggruppati degli uomini che dormono in queste aure tepide di primo mattino. Come gente prossima a sfebbrarsi sbadiglia e mugugna. Sembran tutti ciechi mendichi. L’uomo che ha riso è vicino, egli è lungo e scarnito, la carnagione è bianca come la parete, il vestito matto come il rosso dell’ammattonato. Anche i baffi e i capelli ha del colore del mattone crudo. L’anche spolpate non sorreggono più le fianchette dei pantaloni e li semina tanto che gli si scorge il bottone pieghettato dell’ombellico e l’archetto del ventre peloso e incuoiato, vedendo tanta gente l’uomo, ha sigillato la bocca e palpebra fitto fitto, facendo balenare il bianco e il nero degli occhi, diacci come pietra umida di guazza, il rimanente delle membra sono slegate come quelle di un fantoccio.

Lorenzo Viani - Le donne di Maggiano - 1933-34 - Tratto da Nuova Viareggio Ieri n.11 - marzo 1994

Lorenzo Viani – Le donne di Maggiano – 1933-34 – Tratto da Nuova Viareggio Ieri n.11 – marzo 1994

Dal quadratone di una finestra si scorge un salone nudo bianco e terra d’ombra con tavoloni pitturati di giallo spento, sui panconi color tabacco son seduti tre uomini i quali posano il capo piombato sulle mani annodate, i berretti d’inceratino mortuario si sono capovolti sul tavolo e sembrano pentoli unti. Una finestrona è tagliata in alto, le vetrate sono spalancate e aprono nella gelida parete abissi di cielo.

Maggiano - Ex Ospedale Psichiatrico

Maggiano – Ex Ospedale Psichiatrico

– Mandami a casa o vigliacco – rintrona nel cavo delle mani di una di quelle teste ciondoloni.

– A casa ci son le fatiche a gola e noi siam qui con le mani in mano.

– A casa – ripete il terzo con la identità gelida de l’eco.

Il lezzo delle membra agitate diffonde l’esalazione della bestia feroce.

Coi pugni scarnati un di loro si percuote il costato e par voglia scassare anche il petto e schiacciare la nuca: – A casa ho detto!

Il primo sorride con un riso stantio di teschio dissepolto. Il casone si solidifica con le sue muraglie sul cielo impassibile: i monti celesti quadrettati dall’inferiate sembrano teli di regatino tessuto al telare. Non scorgendo la gente, il loro incedere lento fa sovvenire il greto di un fiume che travolga il ghiaino ad incielarsi alla soave ombra dei gattici. Gli agitati infuriandosi mettono il muglio del bue travolto da una piena, sulla vacca annegata, canne tronchi d’albero e pecore gonfie d’acqua.

– O demonio di’ al maresciallo dei carabinieri che con le sue calunnie mi ha sacrificato in quest’orrido inferno che se quando gliele richiedono non manda informazioni esatte e precise io, io, eterno di Dio, gli stacco la testa dal busto.

Una testa diabolica con le vene del collo gonfie e infiammate di sangue laccato attanagliata dalle robuste braccia del guardiano schizza bava e sangue: – Eccolo il demonio incarnato.

– Io son qui per le calugne di una sgualdrina, qui dove son ruffiani e spie.

– Mandatemi a casa. Perchè mi tenete qui tra i pazzi che mi trarompono il corso del pensiero con tutte le loro mattie.

L’odio dei folli contro i savi esplode da tutte le bocche. Contro il savio, normale, matematico, loico, equilibrato, che argina coi muraglioni il gran fiume di pece bollente della pazzia.

– Ma cos’è la saviezza? – fu chiesto repentinamente ad un pazzo.

– La saviezza è una corda tesa tirente sottile sulla quale bisogna stare sempre in equilibrio. La pazzia è la terra sterminata che ferma anche le saette. Or si vide mai uomini camminare su corde tese? Pagliacci e bindoli soltanto.

Un pazzo contemplava estatico il vasto casone, l’ordine uguale degli andrioni, le teorie delle finestre tutte identiche, le muraglie, i cortili, le spianate, i bastioni, gli spalti, i contrafforti, il reticolato, i fossati. Quante cose per la pazzia. Poi cadde in profonda meditazione.

– Qual pensiero ti turba?

– Uno solo – rispose il pazzo. – Penso che gli uomini per arginare la pazzia han dovuto reticolare questa gobba di monte; cingere d’alte muraglie questo spropositato casone, creare stanze e cortili, un subbisso di stanze e di androni, e pensare che se dovessero fare un manicomio per la saviezza basterebbe una cella sola.

Maggiano - Ex Ospedale Psichiatrico

Maggiano – Ex Ospedale Psichiatrico

(Lorenzo Viani, Lonferno, da “Le chiavi nel pozzo”)


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