Viareggio
Il 17 novembre del 1915 – anniversario della battaglia di Arcole – Ceccardo Roccatagliata Ceccardi fu preso dall’idea di scrivere un articolo. Poteva scriverlo sulla Tribuna col quale giornale aveva, per quei tempi, un patto assai vantaggioso, o sul Lavoro di Genova e ne avrebbe avuto «adeguato guiderdone»; poteva scriverlo sul Panaro, ma poteva scriverlo da per tutto col suo stile gagliardo e incorruttibile.
Ma lui s’intestò, «Ceccardus testardus», di pubblicarlo sul giornale Il Libeccio sulla cui testata era stampato: «Soffia la sera del sabato».
Dunque:
«Camaiore, 17 novembre 1915 – Anniversario della battaglia di Arcole. – Carissimo Lorenzo. Fino da ieri mattina ho rispedito, raccomandato e per espresso, un articolo al Libeccio. Ritardai un giorno perchè ho voluto copiare alcune cartelle un po’ scritte in fretta. Ho fatto del mio meglio e in un tempo relativamente breve. E mi devi dar venia se sono apuanamente infuriato. Ascolta! La sera dell’undici portai l’articolo a Viareggio e c’era spazio; andava tutto bene. E il domani, dopo il mezzodì, tutta quella vigliaccheria. Dovetti io riandar sotto l’acqua che cadeva proprio come quella sera di Bülow (ti ricordi?), – il poeta alludeva ad una sera di tempesta in cui, egli ed altri amici, volevano fare una particolare visita al Principe tedesco che dicevano albergasse in uno dei più belli alberghi del paese, – a riprenderlo. Bachini si occupò in mille modi per superare le difficoltà dello spazio, della stampa, della correzione delle bozze…. ma nulla. Egli si è anche comportato onorevolmente, – Carlini tremava, – quando io volevo rompere al direttore di quel libello il mio ombrello sulla testa».
«Caro Lorenzo, ricevo il tuo dispaccio da Milano. E bene allora anch’io domattina fra le 9 e le 9½ sarò a Viareggio e faremo un «passo» alla stamperia. Inutile dirti che sarò seguito da un buon nerbo di apuani. Il resto è intuitivo. Ave. Ceccardo».
La stamperia del giornale Il Libeccio era composta di un torchio, di una rotativa mossa con sugo di braccia da un uomo scarnito al quale dicevano «Quartuccino». Il compositore era un tipografo il quale faceva la spola dalla stamperia a una mescita di vino, il cui soprannome era «Bidoni».
Dopo aver tessuto per qualche ora da un edificio all’altro «Bidoni» pescava nelle cassette dei caratteri come fanno le galline nelle ciotole quando hanno ingozzato dell’aceto. Ma tant’è: tutti i sabato sera Il Libeccio soffiava. Quando l’uscita del foglio coincideva con le raffiche del vento omonimo, lo strillone, un gobbo orbo, pareva un bastimento con le vele di carta stracciate dalla tempesta.
Il direttore, Angelo Tonelli, prima di aver trovato il suo posto nel mondo, sofferse moltissime amaritudini: piccolissimo, la madre lo portò in collo a piedi, a Roma per domandare una grazia; adolescente, girò mezzo mondo con un arrotino; da giovanotto strillò i giornali; poi, poi quand’ebbe una bella agenzia, una bella casa e una parte su di un bastimento a vela, da giornalaio volle diventare giornalista e nacque Il Libeccio.
Le rubriche del Libeccio erano cinque:
«Libecciate»,
«Avvisi»; «Cercasi giovane commessa educata e bella»; «Il proprietario della Veglietta d’Anciai avverte che per il ballo è prescritta la giacchetta»,
«Spettacoli»,
«Cronaca»,
«Chi nasce e chi muore».
Ma le più acerbe amaritudini, per il Tonelli, cominciarono il 17 novembre 1915, – anniversario della battaglia di Arcole, – il giorno in cui a Ceccardo sfrullò per il capo di pubblicare un articolo sul giornale Il Libeccio.
«Caro Lorenzo, mi dovete dimostrare in modo aperto e deciso se voi siete per il rivenditore di giornali Angelo Tonelli o per il giornalista Ceccardo Roccatagliata Ceccardi. Domani tra le ore 10 e le dieci e mezza capiterò nei pressi della stamperia ove conto trovarvi. Il resto è intuitivo. Ave. Ceccardo».
Girottolando come congiurati nei pressi della stamperia udimmo, dalla viva voce del direttore del Libeccio, i suoi guai.
– L’articolo occupava dodici colonne, corpo otto, nel mio giornaletto. Avrei dovuto lasciar fuori le «Libecciate» gli «Avvisi» gli «Spettacoli» la «Cronaca», «Chi nasce e chi muore»; un cimitero insomma.
– Ma su te si scatenerà la libecciata più terribile che mai abbia fatto guasto su questi lidi.
– Lo so, ieri mi ha pedinato, un’ora.
– Allora toglici la curiosità, di’, almeno a noi, di cosa si parla nell’articolo.
– Prima di tutto parla di tutti voialtri, poi di un certo Gaio Patercolo, che è certo uno della vostra comitiva, e finisce con Napoleone primo.
– Ma tutto questo va in tre righe.
– Sì, ma poi è drogato di tante storie: lo volete sapere?
– Sì.
– Io non l’ho letto. Gli ho dato una squadrata, poi «Bidoni» l’ha misurato con lo spago e mi ha detto: «Dodici colonne, amico».
«Caro Lorenzo, vengo ora da Viareggio sotto l’acqua. E la nausea mi monta alla bocca. Ieri sera riportai colà un mio modesto articolo di 12 cartelle scritto molto chiaro. Pensa che ebbi la promessa che sarebbe andato per sabato; poi, verso le tre, invece delle bozze mi è stato rispedito l’articolo con la scusa che era troppo lungo. Ti dico francamente, apuanamente, che se tornando a Viareggio non mi dimostrate in modo chiaro di essermi devoti senza mutamento io mi dimenticherò di avervi conosciuti. Ave. Ceccardo».
– Ma perchè tu prometti se non puoi mantenere? – si diceva noi, il dimani al direttore del Libeccio.
– Ma la promessa è l’unica risoluzione che ho a portata di mano, quando lui soffia e batte i tacchi.
– Fatti un animo risoluto e pubblica l’articolo.
– Ma debbo lasciar fuori anche chi nasce, anche chi muore.
«Caro Lorenzo, mi dispiace per te che mi sei amico sincerissimo, ma capisco che, dopo quanto è passato tra me e il direttore del Libeccio, ci vuole da parte mia un’azione risoluta: andrà come andrà. Ave. Ceccardo».
– Pubblica l’articolo, – dicevo io a Tonelli.
– Non posso, non posso, non posso.
– Volere è potere.
– Lo so; è una massima vera…. ma….
– Uomo avvisato, con quel che segue.
«Caro Lorenzo, stasera a notte, appena partita mia moglie, ho fatto ritrovare l’articolo, l’ho qui nel mio cassetto:
«O che Vela l’estrema onta contenda al morente, e lo strazio dell’onta tersogli d’ampio lume riaccenda la nobil fronte».
«È il principio di un’ode che intendo comporre sul Napoleone morente di Vela. Ave. Ceccardo».
Il giorno 15 dicembre del 1917, noi tutti al fronte, la pace fu conclusa tra il direttore del Libeccio e il poeta di Roccatagliata.
«Lavagna, 15 dicembre 1917.
«Caro Tonelli, ella mi ricorda e mi vuole bene: me ne avveggo dal giornale che continuo a ricevere e dalle cosette mie che riporta. Grazie. Mi sono permesso inviarle oggi quel mio grido per Venezia. Bisognerebbe che ella inviasse copia raccomandata del Libeccio di sabato l’altro 8 dicembre u. s. all’onorevole Federzoni – Parlamento – Roma, segnandogli l’articolo e la pagina censurata. Bisognerebbe pure, se può in bozza o manoscritto, che mi mandasse in lettera chiusa il proclama del Governatorato di Udine. Plaudo alla sua bella battaglia. Viva l’Italia!
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi».
( Lorenzo Viani, L’ossessione di un articolo, tratto da “Il cipresso e la vite” )