Il Mancio e Vialli.
Paolo Mantovani e la Sampdoria dello scudetto.
Lo confesso immediatamente: quello che state per leggere è un articolo scritto da una tifosa. Categoria che non stimo particolarmente, eppure negli anni di “attivismo” io stessa ho potuto assaporare cosa vuol dire essere tifosi.
Parto dal fondo della storia.
La casa dell’infanzia, tre persone intorno ad un tavolo, una ragazzina con in mano una bandiera gigante. Era il 20 maggio del 1992: la televisione mandava in onda le immagini di uno stadio immenso, uno dei regni del calcio europeo. A Wembley la Sampdoria si batteva per vincere la Coppa dei Campioni contro il Barcellona. Avevo quattordici anni e per me il calcio finiva in quella sera di primavera, tra delusione e rabbia.
Non tanto per il risultato che vide la squadra spagnola guadagnare la Coppa con un solo gol di scarto al 110′ minuto nel secondo tempo supplementare, ma per come quella partita fu giocata (o meglio, non giocata) da quelli che consideravo dei veri e propri eroi dello sport. Quella sera capii tante cose sul mondo del pallone, capii che certe scelte condizionano profondamente campioni e risultati. La cronaca, nascosta tra le righe e le vicende, racconta di un unico grande errore dell’allora Presidente Paolo Mantovani: comunicare a Vialli, il giorno prima dello storico incontro, che il suo futuro sarebbe stato alla Juventus. Il centravanti sbagliava due gol e il sogno blucerchiato svaniva.
Paolo Mantovani. Una vita per la Samp.
Sono partita dal fondo, perché preferisco sempre tenere il meglio per ultimo, perché gli ultimi ricordi che riaffiorano devono essere i più belli, quelli che lasciano il sorriso, quelli che ti senti di aver partecipato a qualcosa di grande, immenso, un successo sportivo costruito con tutta la saggezza, l’eleganza, il cuore che solo un uomo di spessore come Mantovani poteva conseguire.
Ho pochi anni quando, in seguito alla conquista della promozione in serie A sotto la guida di Renzo Ulivieri parte il “progetto scudetto“. Nell’85, in seguito agli acquisti di un diciottenne di belle speranze, tale Mancini, dell’irlandese Brady, dell’inglese Trevor Francis, di Vierchowod, e del cremonese Vialli, arriva il primo trofeo della gestione, la Coppa Italia con il mister Bersellini. A cui seguiranno altri tre successi in Coppa Italia (nel 1987-88, nel 1988-89, nel 1993-94), una Coppa delle Coppe nel 1989-90 e una Supercoppa italiana nel 1991.
La svolta si ha un con l’ingaggio di Vujadin Boskov: «Nella mia vita ho vinto, ma lo scudetto con la Samp è il più bello e più dolce. Perché l’ho conquistato nel campionato più difficile ed equilibrato del mondo e perché era il primo per una società che doveva ancora compiere mezzo secolo di vita. E’ un po’ come quando ti nasce il primo figlio. Gioia e allegria sono maggiori».
Scudetto blucerchiato.
E la Samp arriva allo scudetto nel campionato ’90-’91 e poi inizia la sua scalata all’Europa. Mantovani si gode completamente il successo, compiacendosi di come la Sampdoria, senza aiuti esterni, senza proteste, senza piagnistei, sia riuscita ad arrivare, l’anno dopo, alla finale di Coppa dei Campioni.
E’ una squadra irripetibile. Pagliuca, il potente Vierchowod, detto Pietro lo Zar al centro della difesa, assieme a Lanna. Lombardo, detto Braccio di Ferro. Poi Mannini, Katanec, Pari e Dossena. Il genio di Cerezo, la classe di Mancini e il fiuto del gol di Vialli.
Mantovani è il Presidente di cui il calcio avrebbe bisogno anche oggi. Il suo rispetto per il pubblico che paga (“Se la Samp gioca male abbasso il prezzo dei biglietti e rimborso i tifosi“) e il disprezzo per quella parte di pubblico che non usava rispetto: “L’invasione e’ stata una vergogna, solo le bestie si nutrono d’ erba“. Il pubblico della Samp se ne era innamorato anche per questa sua sincerità. Mantovani era lo scostante intelligente, infastidito dall’idea di vendere il successo come un prodotto. Attento a non curarsi troppo del consenso, a non venir meno ai suoi principi. Un uomo capace di vivere il piacere più sottile e intenso, quello dei grandi uomini, quello di non piacere a tutti. Paolo Mantovani aveva formato un team di persone prima che di giocatori, nessun nome altisonante, un “pezzetto” alla volta aveva creato le fondamenta per il successo.
I colori blucerchiati li porto sempre nel cuore. Sono l’unica cosa che vedo oggi di quella favola sportiva. Il calcio ora parla la lingua dei mercenari, degli scandali, si gioca nei tribunali e sui giornali.
*Il titolo è una citazione di Vujadin Boskov.