(Pubblicato su Kataweb Forum Cinema il 13 dicembre 2003)
Nel settembre 2000 Terry Gilliam cominciava a girare The Man Who Killed Don Quixote, protagonisti Johnny Depp e Jean Rochefort. Se già la fase di preproduzione era stata travagliata da problemi di budget e di reperibilità degli attori, pochi giorni dopo il primo ciak successe l’inimmaginabile. Un violento nubifragio d’acqua e grandine distrusse il set, travolse la troupe e danneggiò le attrezzature. Nel frattempo Jean Rochefort si ammalava all'improvviso ed era costretto a dare forfait. Al sesto giorno l’organizzazione produttiva era in ginocchio.
Il backstage che Keith Fulton e Louis Pepe stavano parallelamente realizzando si trasformò a questo punto in qualcosa di unico: mentre le macchine da presa del Don Quixote erano costrette a spegnersi, quelle del making of continuarono a riprendere tutto ciò che avveniva. Mentre si rendeva sempre più evidente l’impossibilità di continuare il film, i due autori portavano a compimento il loro lavoro raccontando la storia affascinante e malinconica di un'opera quasi neppure iniziata.
Dalle poche scene girate, si ricava la sensazione che il film di Gilliam avesse tutti i numeri per diventare una gran festa per gli occhi. Jean Rochefort, sul suo cavallo bianco, bardato con elmo e armatura, dà vita a un Don Quixote molto persuasivo, mentre Johnny Depp si cala alla perfezione nei panni straniti di un improbabile Sancho Panza.
A un certo momento vediamo Terry Gilliam indossare una t-shirt con su stampato il nome di Fellini. In effetti, una qualche relazione tra i due pare esserci. Per il talento visionario, per il caos organizzato dei loro set, soprattutto per l’abitudine a disegnare dettagliati storyboards e realizzare divertenti vignette. Gilliam ha qualcosa in comune pure con Orson Welles, ovvero il progetto fallito di girare un Don Chisciotte. Progetto sul quale, evidentemente, grava una sorta di maledizione. Per la prima volta compaiono sullo schermo alcune sequenze inedite del lavoro che Welles iniziò ma che, come molti altri, rimase un sogno appena sbozzato.
Gilliam si dimostra un vero megalomane in ogni sua espressione. Quando comunica il piano di lavoro con passione spiritata ed elabora idee folgoranti a getto continuo, quando cura con scrupolo maniacale la realizzazione dei modellini o saltabecca come un bimbo indisciplinato dietro la mdp. L’industria americana del cinema ormai lo boicotta sistematicamente, a causa dei budget colossali che richiedono i suoi film e per la nota inaffidabilità nel rispettare i tempi imposti dalla produzione. Da dieci anni si tira dietro una fama sinistra per via del flop del costosissimo Münchhausen, ma lui niente: persino in mezzo a traversie d’ogni risma continua imperterrito a ghignare e a ironizzare. Alla fine, però, deve arrendersi: la lavorazione è definitivamente bloccata dalle assicurazioni che temono di perdere troppi soldi e il materiale girato diventa così inutilizzabile.
Il fallimento di quest’ambizioso film da 32 milioni di dollari – racimolati con difficoltà in mezza Europa – è diventato se non altro un bellissimo documentario che testimonia con dovizia il progetto decennale che stava alle spalle e racconta passo passo la cronaca avvincente (nonostante tutto) di una catastrofe "annunciata". La qualità più interessante di Lost in La Mancha è proprio di farci comprendere le problematiche organizzative e produttive che incombono su un film - qualunque film. Le dune dell’Andalusia che rifioriscono dopo la tempesta, la luce che cambia irrimediabilmente da un istante all’altro, il rombo assordante degli F16 americani in esercitazione a coprire l’audio. E poi l’assicurazione che rimborsa i danni materiali ma non il tempo perduto, il bilancio già ridotto che non copre più le spese, l’aiuto regista che sfiduciato getta la spugna. C’è la difficoltà di riorganizzarsi, la necessità di cambiare location, c’è l’attesa sfibrante di buone notizie sulla salute di Jean Rochefort – l'unico Quixote possibile secondo Gilliam.
Lost in La Mancha illustra compiutamente come fare cinema sia davvero una magnifica ossessione: materializzare su pellicola i propri sogni significa tuttavia imbattersi in traversie e contrattempi che neppure immaginiamo quando, seduti in una comoda poltrona, ci apprestiamo a godere lo spettacolo. Succede con più frequenza a Terry Gilliam che - come il suo doppio Quixote - continua ad avventurarsi in imprese impossibili, finendo anche lui per scontrarsi nei mulini a vento della realtà.
Lost in La Mancha, di Keith Fulton e Louis Pepe, con Terry Gilliam, Jean Rochefort, Johnny Depp (Usa, 2002, 89’).