Lost in translation: “ti voglio bene”

Da Siboney2046 @siboney2046

Nella marea di pensieri, scarsamente o affatto utili, che affollano la mia mente c’è un dubbio che mi attanaglia a fasi alterne. E sebbene ci siano cose  infinitamente più urgenti od importanti su cui riflettere, non riesco a non perdermi in queste facezie verbali. Già perché la questione sorge attorno ad un dilemma linguistico, uno scherzo lessicale, una deficienza glottologica, insomma, qualcosa con o senza la quale potrei dormire sonni tranquilli. Ed invece mi cruccio. Ma riflettendoci bene non si tratta solo di parole, qualcosa è sotteso, o almeno io penso che qualcosa sia sotteso. L’amletico dubbio è perché nelle altre lingue non esiste un’espressione corrispondente al nostro “ti voglio bene”?

Io ho un grosso, grossissimo feticismo per la lingua italiana: godo nel leggere ed ascoltare la nostra favella, per questo motivo faccio un’enorme fatica a leggere libri o guardare film in lingua originale. Sì, comprendo che è un anche un grande, grandissimo limite, ma non siamo perfetti, siamo poveri mortali pieni di mancanze e la mia, fra le altre, è questa. Non sopporto chi, pur avendo avuto istruzione o mezzi per istruirsi, non sappia parlare o scrivere nella nostra bellissima lingua natia; non tollero chi farcisce i propri discorsi di inglesismi, non perché rendano meglio il significato ma perché ‘è più moderno così’; non soffro che stupra l’italiano con storpiature ed errori grammaticali: sono una talebana dell’italiano, sì, signori miei, e me ne vanto!

Sono tuttavia conspaevole del fatto che come tutte le lingue anche la nostra ha l’evidente limite di non saper rendere alla perfezione termini di altre favelle, motivo per cui una traduzione in italiano non sarà mai completamente fedele all’originale, non tanto per una questione di significati letterali quanto per allusioni culturali. La lingua è frutto di una costante evoluzione che si regge su migliaia d’anni di parole, concetti, usi e costumi, motivo per cui anche la nostra bellissima e flessibile lingua non saprà mai rendere appieno il senso di vocaboli come ‘improvement’, per dirne una. Viceversa, le altre lingue hanno lo stesso limite nei confronti della nostra, con un’aggravante significativa, non sanno tradurre un’espressione essenziale alla vita come il “ti voglio bene”. Correggetemi se sbaglio, non sono una linguista, ma il nostro “ti voglio bene” viene tradotto in inglese da “I love you”, in francese da “je t’aime”, in tedesco da “ich liebe dich”, in spagnolo da “te amo”, in sloveno da “ljubim te”, e così via. Ma questa espressione nelle rispettive lingue sta anche a significare “ti amo”, cosa che per un italiano ha un significato decisamente diverso. In una ipotetica ‘gerarchia’ di sentimenti il “ti amo” sta leggermente sopra al “ti voglio bene”, ha una connotazione più forte ed appassionata, più radicale e profonda; il “ti amo” è usata dagli amanti mentre il “ti voglio bene” dalle persone che, appunto, si vogliono bene. Il designer Pei-Ying Lin definisce il “ti voglio bene” come «the attachment for family, friends and animals», non contemplandolo quindi come “amore”.

Pei-Ying Lin, The Untranslatable Words Database

E noi italiani passionali (perdonatemi il cliché) conosciamo bene la differenza tra i due termini. La questione allora è: perché le altre lingue non riconoscono questa differenza? Perché non esiste un’espressione che indica il sentimento da noi riassunto nel “ti voglio bene”? Forse gli altri popoli non si vogliano bene senza amarsi? Forse sono così ottusi da non vedere la differenza lampante tra i due termini? Ma allora senza alcun dubbio noi italiani siamo non solo linguisticamente superiori, siamo addirittura emozionalmente migliori, sappiamo gerarchizzare qualcosa di così sottile ed evanescente come i sentimenti; sappiamo dare un nome ad ogni sensazione. Sappiamo dare nomi. Ecco. Per me qui sta il nocciolo della questione. Per me sappiamo mettere tanti nomi, ma non sappiamo riconoscere le cose. Non sappiamo capire che “ti voglio bene” significa “ti amo”; non sappiamo intuire che non c’è differenza tra i due concetti, che non esiste una gradazione di amore un po’ inferiore da dare a familiari, amici ed animali; non sappiamo comprendere che se diciamo “ti voglio bene” qualcuno non lo stiamo mettendo in guardia sul fatto che proviamo qualcosa per lui ma non così tanto da impegnarci troppo; non siamo in grado di percepire che dire ad una persona “ti voglio bene” significa donarle un pezzetto della nostra anima, allo stesso modo in cui lo diamo a chi amiamo e questa incomprensione genera l’abuso di questa espressione che sentiamo ogni giorno e lo spreco della nostra anima fatta a pezzetti da un’ignoranza lessicale.

Pensate bene quando dite a qualcuno “ti voglio bene” perché le state dicendo “ti amo”. Pensate se invece le direste “ti amo” e se la risposta sarà “no” allora non ditele “ti amo”, non ditele nulla. Non sprecate i vostri “ti amo” (o i vostri “ti voglio bene”, non c’è differenza). Conservateli per chi amate davvero.


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